Una zucca per ricominciare: il racconto di La Vampy

Concorso di scrittura creativa a tema: Una zucca per ricominciare

 

Presentiamo il quarto racconto partecipante al concorso di scrittura creativa indetto da noi. Qui di seguito pubblichiamo il racconto così come ci è stato inviato. In fondo, troverete la recensione dello staff.

halloween concorso

Una zucca per ricominciare

Ciao a tutti io sono Zuccotto, e sono una bellissima e “ciccionissima” -eh sì, inutile che alzate gli occhi al cielo, lo so che questo termine non esiste- zucca di Halloween. Sapete quelle belle e tondeggianti di colore arancione con sfumature verdognole, che si mettono fuori dalle finestre per scacciare gli spiriti cattivi: eccomi, sono io! Vi starete chiedendo come mai io parli, e vi racconti di me, alla fin fine, resto una zucca, e se avrete la pazienza di ascoltarmi vi svelerò parte dei miei segreti: ovviamente non tutti oppure vi dovrò uccidere.  Sono nato in un campo sulle alture della Liguria, in un bellissimo prato con vista mare e una piacevole aria profumata di mimosa e ginestra in fiore. E stavo da Dio, credetemi, ci stavo benissimo, crogiolandomi al sole, ogni tanto qualche farfalla si posava su di me, per bere l’acqua del temporale estivo. Vi ho incuriosito? Allora prendete una tazza di cioccolata calda, scioglieteci dentro due marshmallow e… Ascoltatemi. O meglio ascoltate loro.

Andrew

Secondo voi trovarsi in mezzo alla strada, il trentuno Ottobre, praticamente solo con un lungo cappotto e sotto nulla, mentre nevica e un vento gelido vi sferza il viso, può essere annoverata negli annali delle peggiori giornate? Perché è questa l’assurda situazione in cui mi ritrovo ora. Vi chiederete come mai io sia fasciato nel mio cappotto, con le palle strizzate dentro una culotte arancione con sopra il disegno di una zucca di Halloween, fatemi prendere un dannato taxi e ve lo racconto. Sempre se prima non mi ferma una pattuglia della polizia e mi sbatte in carcere per atti osceni in luogo pubblico. Ah dimenticavo, non solo sono nudo, ora che ci penso, non ho nemmeno i documenti, il portafoglio e sono lontano sei isolati da casa. Ed ovviamente dov’è il telefono? Vi prego, abbiate pietà, non rispondete.

Restate lì, non muovetevi, io provo ad entrare dentro alla caffetteria, sperando che di turno ci sia Annabelle e che mi riconosca. Sbircio dentro al locale, appoggiando le mani sul vetro. Eh già, penserete voi, tremendo errore. Troppo tardi. Un urlo dietro di me mi fa sobbalzare, non mi volto nemmeno, semplicemente inizio a correre per la strada, scivolando sulla neve fresca.  Sento le ginocchia bruciare per non parlare dei palmi delle mani, assurdo. Lacrime calde scorrono senza alcuna sosta, non ricordo l’ultima volta in cui mi sono arreso ad esse. Scivolo di nuovo, finendo contro un bidone dell’immondizia, non ho più via di fuga. Puzzo, sono sporco, mi stringo nel mio cappotto forse morirò di vergogna o di freddo. Appoggio la testa sulle ginocchia, trattenendo a stento un conato.

Sento la donna che parla con voce agitata, mi nascondo più che posso, ma non serve a nulla. Ed ecco che poco dopo mi ritrovo ammanettato alla barella dell’ambulanza, avvolto in un telino termico. Arriviamo in ospedale, sono scortato da due poliziotti, che sembrano appena usciti da uno di quei video porno che trovi in internet: tutti muscoli, barba incolta. Mi hanno letto i miei diritti, ovviamente, mi hanno arrestato. L’infermiera mi chiede i dati le rispondo in modo automatico, spiego che non ho documenti ed ovviamente, non mi credono. Devo fornire il numero di telefono di un famigliare. Semplice, perché no? E secondo il vostro modestissimo parere, dovrei dare il numero di mio fratello, gemello tra l’altro, che era immerso fino alle palle nel culo del mio ragazzo, oppure quello del mio migliore amico, che invece aveva il cazzo nella bocca di Rick? Che bella immagine vero? Loro che scopano felici e io che vengo arrestato e non so chi cazzo chiamare.  Poco dopo torna uno dei due agenti che conferma i miei dati e la ragazza mi registra, portandomi in una piccola stanza. Inizia medicandomi i piedi, le ginocchia e i palmi delle mani. Sono disgustato, le lenzuola che prima erano immacolate, ora sono di uno strano colore verdognolo tendente al nero.

-Puzzo- mormoro tra me, senza alzare gli occhi dalle mie mani.

-Siamo abituate- mi risponde la ragazza, continuando il suo lavoro. Una volta medicato e con una chiappa dolorante per l’antitetanica ecco che rientra il poliziotto, guardandomi con sospetto. O forse quello è semplicemente il suo modo di guardare ogni essere. Certo sarà sicuramente così, correranno tutta la notte, la notte di Halloween, inseguendo ubriachi, sai che felicità. Dio, ti prego, abbi pietà di me.

-Cosa succederà ora? -. Chiedo guardandolo. L’idea di passare la notte in carcere non mi piace per nulla, ma non credo di avere scelta.

-Dobbiamo portarla al commissariato, lì potrà chiamare un avvocato-.

-E devo venire così? -. Non che non mi avessero dato una di quelle tutine preoperatorie. La verità era che io volevo solo andare a casa, lavarmi, buttarmi a letto e svegliarmi scoprendo che era tutto un fottutissimo di incubo.

-In commissariato abbiamo alcuni vestiti, dovremmo trovare qualcosa che vada bene per lei-. Alle fine il poliziotto era gentile, ma nonostante tutto l’umiliazione delle manette fu enorme. Mi guardai in giro, sperando che nessuno mi riconoscesse.

-Drew!-. Una voce che conoscevo troppo bene mi fece allungare il passo verso l’uscita. Ma la mano stretta intorno al mio braccio non la pensava allo stesso modo.

-Che cazzo, Drew…-. Mi voltai per guardare mio fratello.

-Fottiti Sam- gli dissi tra i denti.

-Ti sei fatto arrestare-. E bastò solo quella frase per farmi esplodere. Mi svincolai dalla presa dell’agente, raggiungendo mio fratello tirandogli una testata sul naso, prima di finire a terra, senza fiato. Con il ginocchio dell’agente piantato nella mia schiena. Vidi mio fratello tenersi le mani sporche di sangue sulla faccia. Ma ciò che mi colpì fu l’espressione colpevole che aveva in viso.

-Figlio di puttana- gli urlai contro mentre mi alzavano. -Non mi devi parlare, per me sei morto-. Sputai per terra.

-Adesso basta- mi strattonò il poliziotto.

-Tu che cazzo vuoi? – gli ringhiai contro, mentre il suo collega si avvicinava al mio fratello.

-Aggiungiamo resistenza a pubblico ufficiale? -.

-Fai come ti pare-.

-Sicuro? –

-No- risposi abbassando lo sguardo. -Voglio solo andare a casa-.

-Questo non è possibile ma puoi evitare di fare altre cazzate e prolungare il tutto-.

Poco prima di entrare nella macchina, ci raggiunge il suo collega, dicendo che mio fratello non avrebbe sporto denuncia, come se mi importasse, sto pezzo di un traditore bastardo; e vi giuro entrare nel sedile posteriore con le mani legate dietro la schiena non fu per nulla semplice. Anche se avrei preferito non saperlo. Giunto al commissariato mi viene incontro Luca, l’amico di Sam. Rinomato Avvocato, ma del resto mio fratello aveva solo amicizie importanti. Uscii poche ore dopo, c’era da dire che l’avvocato aveva i contro coglioni, riuscì a spiegare tutto quello che era successo, fornendo anche delle prove, certo restavo in attesa di un processo e non potevo lasciare la regione, ma tanto non era mia intenzione andare da nessuna parte. Finalmente questa mia avventura, durata quasi quarantotto ore, era terminata. Luca mi aveva portato dei vestiti puliti, il mio portafoglio e il telefono. Sapevo che era stato Sam ad aiutarlo, essendo l’unico che, insieme a Mark, il mio ex migliore amico, aveva le chiavi di casa mia. Il telefono riprese a vibrare, ma non avevo nessuna intenzione di rispondere. Una volta a casa mi diressi in bagno, mi strappai i vestiti di dosso e aperta l’acqua bollente mi lavai. E fanculo alle bende, dovevo togliere l’odore di sporco da addosso alla mia pelle.

Chiusi gli occhi, e rividi la scena. Sapevo quanto a Rick piacesse vedermi con il pizzo, cosa che a me non diceva nulla, ma erano alcuni mesi che tra di noi si era alzato come un muro, non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche e soprattutto a letto. Tanto che nonostante vivessimo praticamente insieme, io avevo ripreso ad appoggiarmi al mio appartamento che non avevo mai venduto. Forse il mio cervello, ragionava meglio del mio cuore. Comunque, avevo comprato quelle culotte, mi ero spogliato e sapendo che Rick era a casa, avevo preso un taxi e mi ero diretto verso la sua stanza. La musica era alta, come sempre. Quando il mio ragazzo doveva creare, si isolava, alzando al massimo il volume della radio. Avevo spalancato la porta della camera, e aveva visto mio fratello che si fotteva Mark, che nel frattempo lo succhiava a Riccardo, ed il resto lo conoscete. Ero finito arrestato ancora prima che mi rendessi conto di cosa stava succedendo. Che bel Halloween di merda, non c’è che dire, una serata terrificante.

Un anno dopo

-Muovi quel cazzo di culo, stasera usciamo-. Annabelle con la sua solita grazia, pari ad un autista ucraino ubriaco, saltellava sul divano. -Dai, che cazzo, c’è la festa di Halloween. Muovi il culo-.

-Contessa è sempre un piacere-.

-Dai Andrew, è un anno che fai la vittima, è ora di voltare pagina-.

-Ed andare in un club di spogliarellisti dovrebbe tirarmi su il morale ?-.

-Non è il morale che dobbiamo tirare su-.

-Sei veramente una contessa-.

-Contessa o non contessa tu hai bisogno di scopare. E sono stanca di vederti così. Lo sai che Mark mi chiama ogni giorno ?-.

-No, fanculo. Andiamo alla festa ma non parlare di quel bastardo traditore-.

-E’ tuo fratello, Drew-.

-No! Se lo fosse non si sarebbe comportato così-. Avevo la voce rotta, e lo sguardo velato di lacrime, era ancora troppo e dannatamente difficile parlare del mio gemello e del suo tradimento. Avevamo sempre vissuto in simbiosi, io e lui, eravamo una cosa sola, e lui… Lui si era scopato il mio ragazzo, nel mio letto. Lo stesso letto che avevamo comprato all’Ikea, e tra bestemmie e risate avevamo montato e allestito.

-Drew-. Mi stava chiamando Annabelle, ma la dribblai meglio di Gattuso nei tempi d’oro, e mi chiusi in bagno. Tutto era al buio solo una zucca rischiarava la stanza alla flebile luce della sua candela. Odiavo Halloween, lo detestavo. Mi gettai sotto la doccia, tanto valeva prepararsi per andare a sta festa e bere l’impossibile, almeno ne avrei ricavato qualcosa: non avrei pensato a nulla.

Alessandro.

Essere il PR di uno dei locali più chic della città voleva dire essere famosi, certo, ma anche doversi impegnare come pochi per la riuscita dell’evento. Ed ecco spiegato come mai mi ritrovi sulle colline liguri nel mio giorno libero, scattando foto al bosco tetro. Non che mi fossi ridotto all’ultimo, non è da me: io sono preciso, metodico, ma –diciamolo- le diapositive che mi avevano girato facevano schifo. Vi spiego la mia idea, nel locale stavamo allestendo un cimitero, io volevo che nei muri si alternassero, grazie la proiettore, immagini scure e buie. Stavo camminando scattando foto a destra e a manca, quando una enorme zucca attirò la mia attenzione, era perfetta. Avvolta dall’erba alta e da alcuni rovi, mi avvicinai, scattai alcune foto. Vicino c’erano solo le antiche rovine del cerchio delle streghe. Quante storie da piccolo mi venivano raccontate su quel posto, che se ci ripenso, mi vengono i brividi. Ecco, magari evitiamo di pensarci.

Quella zucca, finemente tagliata, sarebbe stata benissimo in mezzo al locale, su un piccolo altare, con dentro tre o quattro ceri. Mi stavo immaginando tutto benissimo, senza fatica. L’unico problema era che ero da solo, senza nulla con cui trasportarla se non il mio zaino da trekking, ma non potevo farmi scappare questa occasione. Faticai non poco, caddi o meglio scivolai parecchie volte, ma finalmente la zucca era al sicuro sul sedile del passeggero. Entrai in casa reggendo tra le mani la grossa zucca, ed accesi il portatile, per scegliere le foto. Ero concentrato quando il telefono squillò nella tasca della tuta.

-Ciao amore della mamma-. La voce squillante di mia madre mi fece sorridere.

-Ciao mamma-.

-Giovedì vieni a pranzo, vero?-. Come se avessi la possibilità di rifiutare. Non solo mi attendeva un pranzo ma anche un giro, come da tradizione, per i vari cimiteri. Parenti di cui probabilmente non ricordavo nemmeno il viso.

-Cero, mamma. Sarò a casa per l’una e mezza, prima non riesco-.

-Si, certo va bene. Ecco, mi chiedevo…-. ed ecco la pausa effetto di ogni madre, quella che ti preannuncia una domanda scomoda. -Verrai da solo? -.

Feci un profondo respiro. – Si mamma, verrò da solo, non è cambiato nulla da ieri-.

-Oh, ecco-. Mi dispiaceva deluderla, sapevo che non vedeva l’ora che mi fidanzassi e le presentassi il mio ragazzo, magari dicendole che ci eravamo giurati amore eterno, ma la verità è che io non sono fatto per le storie lunghe. Difficilmente da me la gente si erma a dormire, anzi spesso nemmeno arriva a casa mia, si limita tutto ad una scopata veloce nel bagno del locale, o sul divano del mio ufficio. Inutile non vi racconterò di come sono stato mollato il giorno di San valentino è un clichè così scontato che sembra inventato.

-Ora ti saluto mamma devo andare al locale, devo finire di sistemare le ultime cose per la festa di domani sera-. Vi ho accennato che non solo domani è la festa di Halloween, ma riapriamo dopo un mese di ferie, per rinnovo del locale. Ah, non ve lo avevo detto? Beh, ora lo sapete, e comprenderete bene la mia agitazione.

-Certo tesoro, ci vediamo Giovedì, e mi raccomando, stai attento-. Inutile ricordarle che avevo trentasette anni, e che vivevo da solo da dieci anni, per mia mamma ero ancora ikl suo piccolo bimbo indifeso. Sorrisi mettendo via il cellulare, caricare le fotografie sulla mia penna USB, e mi diressi al locale.

Una volta entrato fui rapito dall’enorme scheletro che pendeva dal soffitto, Laura si era superata. Ed ovviamente se pensi del diavolo, spuntano le corna. O forse non era proprio così il detto. Comunque mi venne incontro la costumista, nonché arredatrice del locale. Capelli rosso fuoco, pelle tatuata, il tutto avvolto in un tubino nero con tante rose rosse sangue e teschi e rigoroso tacco quindici centimetri.

-Non sei salita sulla scala con quei trampoli vero? -. Gli occhi azzurri mi guardarono maliziosi. -Vuoi che ti risponda con la verità o con una bugia? –

-Facciamo che non mi rispondi per nulla, e siamo tutti contenti-.

-Dai capo, sei noioso-. Rise lei imbronciando le labbra tinte di nero, passandosi le mani tra i capelli.

Mi complimentai per il lavoro era veramente egregio, ma mancava ancora qualcosa. Qualcosa di grosso e arancione -Sai che questo locale è veramente stupendo? Ma ho una sorpresa. E’ nel mio ufficio-. La vidi correre suoi tacchi, e percepii il momento esatto in cui la vide. Anzi se ne accorse l’intero vicinato. Ma quell’urlo era umano? Inutile raccontarvi che passammo la serata sezionando quella povera zucca. Non mangerò mai più una zucca in vita mai, ma devo ammetterlo, era venuta benissimo. La posizionammo sopra un altare nero, che in realtà era un piccolo comodino recuperato in un centro di riciclaggio e poi ripitturato. Ci avevamo sistemato sopra dei centrini bianchi e una serie di candele rosse e nere. L’effetto con le luci spente era, a dir poco, spettacolare.

-Quanta gente ci sarà domani? -.

-Tesoro, ti sembrano domande da fare? Ovviamente sarà pieno-.

-Sarà tutto merito del mio lavoro di designer, lo sai? -.

-In realtà sarà tutto merito della zucca-.

-Quello è vero, dove l’hai comprata? -.

-Mi credi se ti dico che l’ho trovata vicino al cerchio di pietra che c’è sopra alla collina qui dietro? -.

Mi stai prendendo in giro vero? Lo sai che quel posto è pieno di fantasmi e magia oscura? – Mi chiese rabbrividendo appena.

-Non mi dirai che credi nei fantasmi? -.

-Preferisco non rispondere, ed ora, capo, prima che ti denuncio per sfruttamento, vado a dormire, ci vediamo qui tra poche ore-.

-Vai, vai. Lo so che c’è Lorenzo a casa che ti aspetta, o come si chiamava Alberto? -. Adoravo prenderla in giro, nonostante i suoi vestiti bizzarri e il suo trucco pensante, era fidanzata dai tempi delle elementari, e se tutto andava come doveva, il trentuno di Dicembre avrebbe ricevuto, finalmente aggiungerei, la tanto fatidica proposta di matrimonio, di cui io, ovviamente, non so nulla.

-Sciocco lo sai che è sempre e solo Lorenzo-.

-Chissà capo, magari stasera c’è un bel maschione per te-.

-Oh ne sono certo, dopo tutto questo lavoro, stasera mi devo sfogare-.

Mi diressi al bar feci colazione e andai a casa, avevo una lavatrice che mi atteneva e una cesta intera di panni da stirare, e poi dovevo studiare il mio trucco. Lo avevo provato e riprovato, ma la maschera mi dava fastidio e allora avevo optato per delle lenti a contatto rosse, non erano semplici da indossare e dopo un po’ mi davano fastidio, ma potevo resistere e poi al limite le arei tolte. Mi infilai il casco e accesi la moto, poco dopo ero a casa.

Andrew

Forse la cosa peggiore è prepararsi per una festa, quando non ne ha la mini9ma intenzione. Mi ero limitato ad un semplice vestito da mummia. I pantaloni bianchi mi fasciavano il corpo come una seconda pelle, per rendere il tutto ancora più realistico li avevo passati sotto ad un vaso di fiori sul terrazzo, in quel modo avevano preso il colore marroncino. Ero andato nel supermercato e avevo usato delle garze da attaccare alla maglia anche quella bianca, e anche lei sporca di terra. Avevo preso una bomboletta di lecca bianca e mi ero acconciato i capelli, prima di avvolgermi la testa in alcune bende. Devo dire che per essere uno che non ha la minima idea di uscire non sono per nulla male. Il messaggio di Annabelle con la sua foto mi fece sorridere: era vestita da diavolo, la pelle del viso colorata di rosso e le labbra lucide nere, per finire un forcone d’orato e due lunga corna da ariete che gli fasciavano il viso. Chiamai il taxi e attesi, di certo non avrei guidato sapendo che avrei passato la serata da superalcolici.

Il locale era affollato, riconobbi la mia amica che sventolava i biglietti che aveva acquistato alcuni giorni prima e che ci avrebbero evitato la lunga coda. Dentro il locale era da urlo. La pista da ballo piccola era circondata da lapidi in pietra, subito dietro il palco un grosso scheletro pendeva dal soffitto, ma quello che attirò la mia attenzione era la enorme zucca. Era bellissima, sembrava quasi finta. Annabelle si buttò nella mischia, iniziando a ballare, mentre io mi diressi verso il bar, chiedendo un Mojito allo zombie di turno. Fu mentre guardavo la pista annoiato che lo notai. Era bellissimo, nonostante il trucco pesante e gli occhi rossi. Aveva i vestiti lacerati da cui uscivano ciuffi di pelo, nei denti aveva attaccato delle estensioni ai canili. Per un attimo pensai alla sensazione di baciarlo, sentire quei canini lunghi contro la mia lingua, e una sensazione al basso mi riscosse, bevetti tutto il mio superalcolico in un solo colpo.

-Ehi, dovresti andarci piano, o non ti godrai molto la serata-. Una calda voce mi fece sussultare, ritrovandomi davanti il lupo mannaro. E Dio, se da lontano era bello, cazzo, da vicino era sexy da fare schifo. Inoltre giocava con quella lingua con il suo canino appuntito che avevo l’istinto di sostituire la mia alla sua e di sbatterlo contro il bancone del bar, come se non ci fosse un domani.

-Io ho bisogno di un altro Mojito- balbettai imbarazzato.

-E se ti invitassi a ballare? -.

-Io… No… grazie-. Lo dissi alzandomi, volevo allontanarmi, ma il mio vestito mi fu di impaccio. Inutile dirvi che sono caduto a terra, battendo la fronte contro il bancone del bar, vero? Mentre Mister Adone mi guardava, stupefatto. Mi rialzai a fatica, sentendomi idiota. Dio, che figura di merda, ed ovviamente con il locale pieno.

-Stai bene? -. Mister Adone mi guardava preoccupato.

-Sto benissimo-. Risposi perdendo appena l’equilibrio e se non caddi a terra fu soltanto perché mi aggrappai a lui.

-Forse è meglio chiamare un’ambulanza-.

-No ti prego, ho solo bisogno di andare in bagno-.

Ma Mister Adone non sembrava molto convinto, infatti mi prese per il braccio trascinandomi dietro il palco, aprì una porta con la chiave magnetica e mi ritrovai in un piccolo ufficio, dove stranamente la musica non arrivava. -Il bagno è dietro a quella porta- mi indicò il luogo e si sedette alla scrivania. Balbettai un grazie e andai, anzi corsi in bagno. Mi stavo guardando allo specchio, forse il mio salvatore non si era accorto che quella striscia di sangue non faceva parte della maschera, stavo cercando di capire l’entità del taglio quando un leggero bussare alla porta mi riscosse. Aprii l’uscio, e vidi il giovane lupo che mi porgeva del disinfettante e delle garze pulite. -Devi medicare quel taglio, non può stare a contatto con la lacce e il cerone bianco, lo sai?-.

Lo guardo stupito, ma lui si difese dicendomi che aveva appena finito il corso di sicurezza che tenevano tutti i lavoratori. -Se esci ti do una mano-. Vi ho detto che non amo il sangue? Anzi, mi fa proprio senso e il mio pallore vedendo le dita sporche di sangue dovette preoccupare il ragazzo, perché mi ha fatto sedere sulla poltrona prendendo una sedia e mettendosi davanti a me. -Comunque io sono Alessandro- mi disse mentre lentamente mi toglieva le bende sporche pulendo tutto delicatamente con un pezzo di cotone.

Alessandro

Lo vidi subito appena entrò nel locale, era la mummia più bella che io avessi mai visto, e quella sera sarebbe stato mio. Quei pantaloni gli fasciavano il culo in modo fantastico, fremevo dalla voglia di abbassarglieli e passarci sopra la mia lingua assaggiando il suo sapore. E se il lato B ti portava in paradiso, il lato davanti, stretto nei pantaloni attillati ti trasportava direttamente all’infermo. Lo osservavo da un po’, ha lo sguardo perso, è arrivato con la sua amica ma si era fermato al bar, dopo alcune birre aveva chiesto a Roberto un Mojito che finì in tempo record.

Non era ubriaco, o almeno non molto, ma ben presto me lo ritrovai tra le braccia, mentre un rivoletto di sangue macchiava la sua pelle bianca, non ascoltai nemmeno le sue scuse, semplicemente lo portai in ufficio. Dio era bellissimo.

-Comunque io sono Alessandro- gli dissi mentre gli medico la fronte.

-Drew-mi rispose piano.

Restai in silenzio mentre lo medicavo, mi veniva naturale prendermi cura di lui, forse era dovuto allo sguardo triste che aveva rivolto al liquore prima di buttarlo giù, ma c’era qualcosa che mi attirava in lui. -Ecco, fatto. Come ti senti? -.

-Molto meglio grazie, e scusa per il disturbo- mi rispose alzandosi. Dovevo bloccarlo, volevo stare ancora con lui, conoscerlo meglio.

-Potresti sdebitarti con un ballo-. Gli chiesi all’improvviso.

Lui mi guardò per un lungo secondo, il suo viso attraversato da diverse emozioni, la predominante: la paura. -Io… la mia amica mi starà cercando-.

-Solo un ballo-.

-E sia- mi rispose poco dopo, sorridendo.

Ci dirigiamo verso la pista da ballo, proprio in quel momento la musica cambiò in un dolce lento, lo strinsi a me, iniziamo a dondolarci.

Urtiamo senza volerlo il piccolo altare, entrambi cerchiamo di prendere al volo la zucca per evitare che cada. Le nostre mani si uniscono e che ci crediate o meno, sentii la scossa, e la sentì anche lui, perché mi guardò stupito. Appoggiammo la zucca sopra al piccolo altare e lo strinsi a me, coprii le sue labbra con le mie, mangiandogli il respiro. Lo sento arrendersi nel bacio, aggrapparsi alla mia maglia, la sua lingua che gioca con la mia, le mani che risalgono e mi stringono i capelli tra di loro.

E’ passato un anno da quel giorno ormai io e Andrew siamo una coppia, quella sera mi ero limitato a baciarlo e baciarlo per ore e ore, ma nulla di più. Mi ero rifiutato di rovinare tutto con il sesso come al solito, avevo capito che tra le mie braccia c’era un ragazzo spaventato ma con la voglia di ricominciare, e tutto, grazie ad una zucca arancione.

 

RECENSIONE DELLO STAFF

Il racconto è ben strutturato e ben narrato. È stato facile immaginare le vicende e focalizzare l’attenzione sui personaggi e gli avvenimenti, compresi i momenti caratterizzati da più azione. La compagine psicologica dei personaggi non è mancata. Ad esempio, si percepisce bene la rabbia e lo sgomento che Andrew prova nei confronti di suo fratello. Con poche frasi, il lettore non ha difficoltà a comprendere le sue sensazioni. 

Il testo inizia in modo simpatico attraverso il personaggio di Zuccotto che, sin da subito, aiuta a immergersi nella lettura. Crediamo che la scelta di costruire il testo in questo modo sia stata molto saggia.

Durante la narrazione tutti i personaggi si rivolgono direttamente al lettore, anche questo aspetto non ci è dispiaciuto: ha aiutato ancor di più a catturare la concentrazione e a mantenerla per tutto il racconto.

Dal punto di vista grammaticale e sintattico, ci sentiamo di consigliare di prestare attenzione all’utilizzo dei gerundi; ve ne sono parecchi e, di sicuro, limitarli renderebbe la lettura più “leggera”. Vi sono alcuni errori di battitura e la punteggiatura non è sempre corretta. In ogni caso, questo tipo di mancanze non ci hanno condizionato negativamente: una semplice rilettura potrebbe sistemare ogni refuso.

Il lessico utilizzato è vario e appartenente a svariati registri linguistici. L’interezza della composizione risulta abbastanza fluida benché vi sia il passaggio dal punto di vista di un personaggio all’altro e un paio di salti temporali. Il finale è piacevole e positivo per i personaggi e per chi legge.

Facciamo i nostri complimenti all’autrice e la ringraziamo per la partecipazione.

Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione di questa recensione e restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento o dubbio. A presto!

 

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