Racconto di Sonia Vespa: recensione

Recensione del racconto realizzato per il concorso “Le Maschere”

Qui di seguito troverete il testo così come ci è stato inviato. Al fondo dell’articolo troverete la recensione dello staff.

TESTO DEL RACCONTO – AUTRICE SONIA VESPA

“Che succede, Paolo? Non sei mai così taciturno in mensa? Vabbè che ha perso la tua squadra ieri, ve le abbiamo suonate e cantate, eh!”
“Lascia perdere, Antonio, magari parlassi di calcio, ho problemi con Liana: si è messa in testa di cambiare lavoro e vuole licenziarsi prima ancora di avere la minima certezza che la assuma un  amico, che poi così tanto amico non mi sembra… Ma lei è convinta di sì e non sente ragione!” “Se ti può consolare, io stamattina vicino alla tazzina da caffè che diligentemente Tania mi prepara tutte le mattine-e tra parentesi non ti dico che rabbia vedere questa meticolosità- ebbene dicevo che stamattina vicino alla tazzina mi son trovato una busta chiusa con suppongo una lettera. Guarda, non l’ho nemmeno ancora aperta: sarà la solita cazzata che non la ascolto, che non le dedico attenzioni, che passo i weekend coi mei figli… E poi ieri sera abbiamo litigato sempre per il solito motivo e io le ho urlato: Giù la maschera! perché sapevo già dove sarebbe andata a parare, così oggi va dai suoi per tre giorni, quindi la leggerò domenica sera prima che torni, almeno non mi rovino il fine settimana…”                                                                   “Sempre che torni, Antonio!” “Torna, torna… Paolo, sei sposato da poco, ma sappi che fanno la valigia per tre giorni e poi tornano al secondo. Anche la mia ex moglie, che tu hai avuto la fortuna di non incontrare mai, era specializzata nella valigia lampo, ma poi chi l’ha fatta per sempre la benedetta valigia sono stato io!” “Mah, non so che dire… Liana è sempre stata ragionevole… Ora non vorrei trovarci con uno stipendio solo perché lei ha premura di licenziarsi…Dai, parliamo di calcio!”

“Giù la maschera!” Mi hai urlato. E io che ho sopportato tutte le tue stranezze, i tuoi malumori, ora dovrei rinunciare a ciò che non ti riguarda più?                                                                                                                                 Hai presente quando volgevo lo sguardo altrove e spegnevo la sigaretta per accenderne un’altra subito, mi rosicchiavo le unghie, allontanavo il piatto intatto? Quella era la maschera del silenzio.                          Ti ricordi quando hai inscenato una partenza improvvisa per motivi di lavoro e io ho finto di crederti aiutandoti a far in fretta i bagagli e chiamandoti il taxi? Quella era la maschera dell’orgoglio. Ti sei dimenticato di quando ti ho aspettato sotto una nevicata spaventosa a ripararmi di fortuna nel portone del caseggiato del tuo ufficio per poi scoprire che quel giorno non eri andato a lavorare?                               “Cos’hai?” Mi hai chiesto appena rincasato col cappotto imbiancato di neve? Quella era la maschera del dolore. E poi hai acceso la TV senza neppure ascoltare la risposta. E le telefonate della tua ex moglie e dei tuoi figli, le hai rimosse? Pensi che mi sia costato poco cenare da sola, addormentarmi sul divano, fingere che tutto fosse solo stanchezza? Quelle erano le maschere del risentimento.                                                                                                                                                                        Scommetto che non ricordi neppure più quando i numerosi ginecologi che avevamo consultato ci hanno comunicato che non avrei quasi sicuramente avuto figli. E sbagliavano. Ma pensi che io non avessi notato il sollievo nel tuo sguardo e l’alzata di spalle con la quale liquidavi il fatto, avendo già tu tre figli? E poi andare a cena fuori proprio quella sera come se ci fosse da festeggiare, ha fatto male, sai? Ma nel mio armadio avevo una scorta di maschere e quella sera ho indossato quella della tolleranza. E per giorni e giorni, mesi e mesi, ho messo sul viso la maschera della perseveranza finché di delusione in delusione mi è arrivata la notizia che aspettavo da sempre. Solo che credevo che la aspettassi anche tu.                                        Ora non sai prenderti le tue responsabilità. Io sono incinta e il padre sei tu, ma per fortuna non ho bisogno di te né economicamente né della tua assente presenza. Tu non hai mai voluto questo figlio, non era nei tuoi piani, forse eri scappato da un matrimonio infelice per trovare silenzio e accoglienza qui, in casa mia. Questo mi hai detto ieri sera- mi hai urlato- per meglio dire, “Calpestando i miei sogni e le mie aspirazioni, cercando in me la persona accomodante che la tua ex moglie non è mai stata”, avrei dovuto aggiungere io, ma ho preferito glissare e farti credere che avrei rimediato al danno, come lo chiami tu. Tu hai definito un danno ciò che per me è più importante di qualunque cosa. Tu che chiami danno ciò che per me ha già un posto e un nome nel cuore.                                                                                                                                                        Anche queste poche parole te le ho dovute scrivere, le stai leggendo e non crederai possibile sapere che la valigia che hai visto ieri sera nel corridoio non era pronta per andare a trovare i miei, ma per fuggire da qui, da te. Per fortuna non siamo sposati così ci evitiamo anche le noie burocratiche. Hai tre giorni di tempo per sparire da casa mia e lasciare le chiavi alla portinaia. Di me non saprai più niente. Non ho più maschere per te e non ne avrò mai più per nessuno.

 

RECENSIONE DELLO STAFF

Il racconto presenta una narrazione di una vita “normale”, di quella che è la quotidianità e delle varie maschere che siamo spesso costretti a indossare per andare avanti. Apprezzabili gli esempi riportati riguardo i vari momenti affrontati e, dunque, riferiti alle varie maschere portate dalla protagonista durante i momenti vissuti – anche solo per portare avanti una relazione che, probabilmente, non era così equilibrata e sana. 

Il testo è un grande dialogo. Per quel che ci riguarda, noi preferiamo un pizzico di narrazione in più, caratterizzata da meno discorsi diretti; tuttavia, questa è pressoché una questione di gusto personale. 

Vi sono alcuni punti in cui la punteggiatura ci è sembrata carente, in questo senso consigliamo maggiore attenzione. Tutto sommato, comunque, è un buon lavoro. 

Grazie per la partecipazione, speriamo di riaverti presto tra noi!

 

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