Intraducibili: Le parole che non possono essere tradotte

Intraducibili: le parole che non possono essere tradotte da una lingua all’altra

Esistono dei termini o addirittura delle espressioni che in una lingua hanno un senso perfetto, mentre risulta impossibile trovare una parola adeguata per tradurla e utilizzarla in un linguaggio diverso. Semplicemente sono dei concetti che non trovano un’equivalenza linguistica in un altro idioma.

Intraducibili

Ecco a voi degli esempi per questi termini veramente intraducibili:

• Credo sia capitato a tutti, a pelle, di non sopportare qualcuno o di pensare “che faccia da schiaffi”. I tedeschi hanno una parola proprio per quella immotivata voglia: Backpfeifengesicht, e cioè una faccia che deve proprio essere presa a pugni.

• Sarà capitato di voltarvi a guardare qualche ragazza, per strada, pensando “sembra bellissima” almeno finché poi non ha mostrato il suo volto. In Giappone è definita Bakku-shan, una ragazza apparentemente bellissima finché non la si guarda in faccia.

• Sempre i giapponesi hanno saputo racchiudere in una sola parola quella sensazione agrodolce di quando si sta vivendo un momento di immensa bellezza: Aware, è la parola giusta per spiegarla.

• I tedeschi hanno pensato a una parola che spieghi la nostalgia per quei posti in cui non si è mai stati, sentendoli vicini a noi: Fernweh è il termine esatto.

• Avete mai incontrato una persona decisamente sfortunata? Il nostro Fantozzi fa un baffo al termine yiddish utilizzato per descrivere qualcuno che della sfiga vi ha fatto uno stile di vita: Shlimazl.

• Vi è mai successo, invece, di ridere da soli ripensando a qualche evento passato? Dal francese, Rire dans sa barbe è l’espressione utilizzata per descrivere quei momenti.

• Torniamo in Giappone, che con Komorebi, hanno saputo descrivere l’effetto della luce che filtra attraverso gli alberi.

• Quanti libri avete comprato senza mai leggerli? Sempre in Giappone, questa (malsana) abitudine viene definita con Tsudonku.

• In Namibia c’è un termine, Hanyauku, che descrive il momento in cui sulla sabbia rovente siete costretti a camminare in punta di piedi.

• Dal ceco, invece, l’arte degli scrocconi che fanno uno squillo con il telefono sperando di essere richiamati viene detto semplicemente Prozvonit.

Tingo, è la parola che nell’isola di Pasqua indica il brutto vizio di prendere in prestito degli oggetti senza mai restituirli al proprietario.

• Avete mai provato quell’attesa snervante quando qualcuno tarda a un appuntamento? Gli Inuit l’hanno definita Iktsuarpok.

• Per i neo patentati sarà facile riconoscersi nel seguente termine tedesco: Schilderwald, ovvero quando un tratto stradale è pieno di cartelli, tanto da non capirci nulla.

• Al Sud, ci capiranno: Utepils, che in norvegese indica lo stare all’aperto in una giornata di sole, bevendo una bella birra.

• Un termine bellissimo è Mamihlapinatapei, che proviene dalla Terra del Fuoco e spiega il gioco di sguardi di due persone che provano attrazione l’un l’altra, frenati dal fare il primo passo per paura.

• Ancora dal giappone, Kyoijumama è l’espressione utilizzata per descrivere una madre che pressa i figli affinché siano dei geni a scuola.

• L’ultimo termine che vi proponiamo, viene dall’italiano: qui troviamo il Culaccino, ovvero il segno lasciato su una superficie da un bicchiere bagnato.

Allora? Come vi sembrano questi termini? Sono veramente intraducibili? Di sicuro non sono gli unici, ne cercheremo altri per approfondire un po’ di più questo argomento.

 

Vi ricordiamo che potete seguirci su: Curiosando – Kaylie Scrittrici – Instagram – Twitter