Alessandro Petrelli: concorso di scrittura creativa

Concorso di scrittura creativa: racconto di Alessandro Petrelli

Qui di seguito potrete leggere il racconto ideato dallo scrittore Alessandro Petrelli, partecipante al concorso di scrittura creativa indetto da noi.

Il racconto è stato riportato così come ci è stato inviato, senza alcuna variazione.

Al termine dell’articolo, subito dopo il racconto, vi è la recensione dello staff.

Incipit fornito dallo staff:

Tic. Tic. Tic.
Sembravano goccioline d’acqua. Pioveva. Un’amara meraviglia pervase e accese il suo animo. Si chiese come facesse a riconoscere quel rumore, persino a dargli un nome.

Un momento, gli serviva un momento per pensare.

Una goccia tiepida gli cadde sulla fronte; non riuscì ad aprire gli occhi, le sue palpebre sembravano incollate. Sentì il suo corpo: c’era, ma non riusciva a muoversi. Era come paralizzato.
Non recepì alcun dolore, non era quella la sensazione che aveva in circolo. Tentò di far spazio nella sua mente, alla ricerca di ricordi.

Era tutto così buio.

Provò a muovere la bocca, con rabbia ascoltò quelli che sembravano essere solo suoni confusi e privi di significato. La sua capacità di parlare non era al passo con i suoi pensieri. Un’altra goccia gli cadde sul viso, d’istinto si sforzò di aprire gli occhi.
«Aaaaah!» Emise un rantolo di dolore, aveva commesso uno sbaglio. Aprire le palpebre in quel modo era stato come permettere a fiamme ardenti di penetrare nel suo sguardo. Il dolore sembrava aver risvegliato i suoi muscoli, così le sue mani raggiunsero il suo viso e lo stropicciarono tastandone la consistenza: tentò di riportarsi alla realtà. Cercò di abituarsi pian piano al fascio di luce che entrava dalla finestra. Si guardò intorno, non capì dove si trovava.
Inspirò. Un fetido odore gli invase i polmoni. Aveva caldo. Troppo caldo, il sudore gli colava dalla fronte come una cascata. Guardò fuori, il sole sembrava sfociare in un pallido tramonto. Solo quando la parete alla sua destra cominciò a prendere fuoco, si accorse che quel posto stava bruciando.
Sentì un peso sul petto, faticava a respirare. Ma non era unicamente colpa dell’ossigeno che cominciava a mancare, aveva qualcosa sul torace. Era un oggetto rettangolare, morbido, rivestito di pelle. Un libro, un diario, qualcosa del genere. Raccolse ogni briciolo di forza che sentiva di avere e provò ad alzarsi. Si trascinò verso la porta, procedendo a tentoni per trovare una via d’uscita. La sua vista era ancora annebbiata.
Sbattè contro le pareti roventi, tenne stretto quel libro per non perderlo e tentò di trovare una via d’uscita. Non riusciva più a reggersi in piedi, respirò a fatica, parte del suo corpo sembrava non rispondere ai suoi comandi. Si buttò sull’ultima porta che si apriva mostrandogli un nuovo mondo. Sentì i raggi del sole sfiorare la sua pelle. Accarezzò le cuciture di quel libro che custodiva preziosamente, tenendolo stretto. Inspirò un’ultima boccata d’aria fresca prima di chiudere gli occhi e riposare, anche solo per un istante.

 

Racconto scritto dall’autore Alessandro Petrelli: Lettere da una fan

La linea che divideva il sogno dalla realtà si fece sempre più sottile. Un dolore la stava perforando. Un atroce dolore al piede destro.

Aprì di scatto gli occhi e un riflesso involontario gli fece ritirare la gamba. Emise un lamento. Le fiamme avevano divorato parte del prato che circondava la casa e avevano assalito anche i suoi piedi. La scarpa destra era perforata e ancora incandescente sulla parte anteriore, la sinistra aveva perso solo un sottile strato di suola.  Tolse velocemente entrambe le scarpe scaraventandole verso la baita che, deteriorata dall’incendio, alimentava le ultime fameliche fiamme. Si alzò in piedi e batté il piede destro sull’erbetta umida. Il dolore all’alluce si intensificò. Si guardò intorno e, nonostante fossero calate le tenebre, notò un lavabo in pietra antico a pochi metri dalla baita illuminato dalla fioca luce delle fiamme. Corse claudicante verso di esso e ci mise il piede dentro. Fece scorrere l’acqua sull’alluce arroventato e urlò sfogando quello che era tra i dolori più forti che avesse provato in vita sua.

Ricordati perché sei qui! Gli disse una vocina nella sua mente. L’ansia gli pervase lo stomaco e si tastò con le mani il busto. Tolse il piede dal lavabo e andò a passo svelto verso il punto in cui si era svegliato. Scrutò il prato, si chinò in avanti e perlustrò i metri circostanti.

«Dov’è?» ripeté più volte a voce alta.

Girò su se stesso guardando tra i fitti alberi del bosco. «C’è qualcuno?» urlò. Osservò nuovamente la baita e il prato, si girò verso sinistra e intravide una piccola lucina in fondo al bosco. Corrugò le sopracciglia per mettere meglio a fuoco. Sospirò. Si passò gli indici sulla fronte. Doveva capire cosa stava succedendo. Chi aveva appiccato l’incendio alla baita? Chi gli aveva rubato quel libro?

Si incamminò dolente verso la luce in fondo al bosco. Tendeva a mandare il peso del corpo sul piede sinistro. Emise qualche lamento. I suoi sistemi di allerta erano super attivati. Proseguì diritto per qualche minuto alla massima velocità possibile.

Qualcuno ti vuole far fuori! Gli sussurrò ancora la vocina. Si mise le mani tra i capelli e respirò a fatica. La lucina divenne man mano un lampione che illuminava la porta in legno di un’altra baita. La contemplò con occhi spalancati. Era tutto spento. Si avvicinò, mise il piede sul primo gradino e scivolò. Sbatté i gomiti sul gradino più alto e urlò ancora. «Aaaaahh!!» Afferrò il piede destro e lo strinse, lo massaggiò per alleviare il dolore e nel frattempo qualche lacrima prese il sopravvento.

«Ha bisogno d’aiuto?» disse una voce alle sue spalle. Si voltò e vide una sagoma che si faceva spazio tra gli alberi proseguendo verso di lui. Ebbe paura.

«Chi sei?» chiese.

La sagoma si approssimò alla baita e la luce gialla del piccolo lampione ne illuminò il viso. Era una giovane ragazza con capelli lunghi e lisci. La sua espressione era preoccupata. «Cosa le è successo?» gli chiese.

Adam Weller rimase steso sulle scale. Indeciso se fidarsi o meno.

La ragazza si avvicinò e si piegò per afferrarlo. «Le serve aiuto?»

Adam annuì timoroso.

La ragazza gli tese la mano. Lui esitò un attimo e poi la afferrò. Lo aiutò a rialzarsi.

«Il mio piede» biascicò Adam.

Lei si piegò in avanti e diede un’occhiata. Si mise la mano sulla bocca e lo riguardò negli occhi. «Mio Dio. Ma viene dalla baita incendiata?»

Lui asserì.

«Presto, venga dentro. Ha bisogno di aiuto» gli disse quasi supplicandolo. Gli passò una mano dietro al bacino e lo sostenne aiutandolo nella salita delle scale.

 

La baita era accogliente e ben sistemata. Il pavimento e i mobili erano in legno. Mancava il televisore ma vi era un computer portatile su una scrivania. La ragazza si chiamava Sarah ed era più bella di quanto Adam avesse notato prima, quando il dolore e l’agitazione non gli avevano permesso di contemplarla. Aveva i capelli lisci e lunghi che sfumavano dal castano scuro al castano chiaro, occhi grandi e scuri, labbra carnose, fisico in carne con delle proporzioni perfette. Gli aveva messo una crema e una benda sull’alluce ustionato e ciò aveva alleviato –anche se troppo poco- il suo dolore. Lo aveva fatto accomodare sul divano e gli aveva chiesto se avesse voglia di mangiare o bere qualcosa. Lui non aveva accettato perché, nonostante la tranquillità di quell’ambiente, dentro era ancora agitato.

Doveva trovare il libro, doveva trovare l’autore e anche  colui che aveva cercato di ucciderlo -che molto probabilmente erano la stessa persona-.

«Si sente meglio?» gli chiese Sarah.

Adam, distratto dai suoi pensieri, scrollò il capo come per chiederle cosa avesse detto.

Sarah lo guardò in attesa di una risposta.

«Si, va meglio. Grazie Sarah.»

«Di solito rientro dalla città prima del tramonto ma oggi ho fatto tardi. Quando sono arrivata ho visto da lontano l’incendio alla baita e sono corsa a dare un’occhiata, ma non c’era nessuno, di solito quella baita è disabitata quindi ho pensato che avesse preso fuoco a causa del caldo rovente di questi giorni.» Si fermò e lo guardò dispiaciuta. «Ma a quanto pare c’era lei lì dentro. Cosa ci faceva?»

Adam la fissò negli occhi e ne fece trasparire il terrore. «È una lunga storia.» Rivolse lo sguardo sul pavimento e rimuginò sull’accaduto. «Una storia strana e lunga.»

Sarah fece spallucce, indecisa su come comportarsi. «Vuole che chiami qualcuno?»

Lui fece segno di no con la testa. Ci fu qualche secondo di silenzio. L’atmosfera nella stanza era fredda e metteva a disagio entrambi. Poi Adam corrugò le sopracciglia e si rivolse a Sarah. «Cosa ci fa una ragazza come lei in una baita isolata?»

Lei sorrise, ma fu un sorriso triste. «Vede, anche la mia è una storia strana. Ma se vuole ce le raccontiamo entrambi».

Adam sospirò. «Cominci lei.»

Sarah annuì soddisfatta. Si sedette e fece un sorso d’acqua. Posò il bicchiere e cominciò a parlare con lo sguardo abbassato su di esso. «Questa baita è della mia famiglia. Ci venivo da bambina con i miei genitori e con la mia sorellina. Mamma e papà adoravano stare isolati nel bosco almeno una settimana all’anno con noi due. Li rilassava, li faceva staccare dallo stress quotidiano. Rompeva quella monotonia che a tratti si faceva asfissiante. Con gli anni abbiamo preso a venire sempre meno. Ora non venivamo più da tre anni, ma l’anno scorso mia sorella è venuta a mancare.» Storse il capo e guardò Adam con occhi lucidi. «Così ho deciso di venirci da sola quest’anno. Ne avevo bisogno.»

Adam annuì. «Mi dispiace» disse. «Com’è successo? Dico… non voglio essere indiscreto.»

«Non si preoccupi, non lo è» lo interruppe. «È stato un incidente d’auto.»

Si fissarono per un istante ma poi lui abbassò nuovamente lo sguardo.

«E lei invece?» chiese Sarah. «Mi attendo qualcosa di più particolare adesso da lei» disse abbozzando un sorriso.

Lui sospirò ancora e socchiuse gli occhi. Per un momento si era dimenticato del perché fosse lì.

Il libro. Dov’era finito quel libro?

«Mi chiamo Adam Weller. Sono uno scrittore.» Si fermò e attese, quasi sapesse che la ragazza gli avrebbe fatto una domanda.

«Aspetti un attimo. Adam Weller? L’autore di romanzi thriller?» gli chiese.

«Esatto.»

«Non ho mai letto i suoi libri, non sono del mio genere, ma credo che dopo quest’incontro lo farò.»

«Spero ne valga la pena» rispose distratto. Era la risposta che dava a tutti i lettori che gli dicevano la stessa cosa. «Un anno fa ho…» si fermò ancora. «Che storia incredibile» disse cercando conforto negli occhi di Sarah.

«Avanti. Le prometto che manterrò il segreto. E la aiuterò, se potrò farlo.»

Adam sembrò assorto. Come qualcuno che cerca le parole giuste per confessare qualcosa di molto forte. «Un anno fa fui contattato da una ragazza» cominciò. «Mi mandò un’email e si presentò. Mi disse di essere una mia fan sfegatata con la passione per la scrittura. Mi disse che aveva cominciato a scrivere un romanzo e che aveva bisogno dei consigli di qualcuno che se ne intendesse davvero. E secondo lei, nessuno era migliore di me per quel ruolo. Di solito non rispondo ai messaggi dei fans, ma quella proposta mi fece sentire molto soddisfatto. Le dissi che andava bene, che poteva mandarmi il suo lavoro e non appena avessi avuto un po’ di tempo gli avrei dato un’occhiata. Ma lei mi propose qualcosa di più particolare. Mi disse che voleva mandarmi i capitoli uno per volta, in cartaceo, per posta. Io le avrei dovuto mandare un’email ogni volta che avrei finito di leggere un capitolo, così lei mi avrebbe mandato l’altro. Anche questo aspetto mi incuriosì parecchio. Quasi mi sembrava l’inizio di uno dei miei libri. Le dissi che mi andava bene e che speravo di trovare il tempo per portare avanti quel progetto. Dopo una settimana mi arrivò il primo pacco, era un raccoglitore nero in pelle, dentro c’era una lettera nella quale questa ragazza –che si firmava semplicemente WellerFan91– mi spiegava che avrei dovuto leggere i capitoli e inserirli lì dentro uno per volta. Mi chiesi se soffrisse di disturbo ossessivo compulsivo o qualcosa del genere, ma poi mi dissi che noi scrittori siamo tutti molto strani, era il suo modo di fare e mi andava bene. Dopo qualche settimana ricevetti finalmente il primo capitolo. Era una storia che cominciava abbastanza bene. Mi resi conto che la ragazza era molto brava nelle descrizioni e nella costruzione dei personaggi. Sembrava…» si fermò un attimo e ci pensò. «Sembrava come se fosse tutto reale. Come se fosse tutto basato su fatti e persone vere. Questa fu un’altra caratteristica che mi incuriosì molto. Mi dedicai al suo libro e cominciai a chiederle un capitolo dopo l’altro. Mi arrivavano con una cadenza mensile, a volte ci mettevano tre settimane. Tenendo conto che fosse una mia fan, pensavo di trovarmi un thriller tra le mani, ma era una storia d’amore. Una storia d’amore… strana» Adam guardò Sarah negli occhi, come per dire “quante storie strane tutte in un giorno”. «Raccontava la storia tra un uomo di trentaquattro anni e una ragazzina di diciassette. Inizialmente si vedevano di nascosto, lui la portava in posti sempre diversi e lontani da casa, ovviamente, più lontani possibile da casa. I primi cinque o sei capitoli proseguirono così, raccontavano del loro amore impossibile ma che stava realmente accadendo, della loro voglia di vedersi e della loro paura di uscire allo scoperto. Ma poi qualcosa cambiò… la ragazzina, beh, cominciò a rendersi conto dell’età del suo uomo e a spaventarsi delle sue richieste e delle sue pretese. Perché lei…» fece una smorfia e mostrò un lieve disagio. «Era vergine. E lui aveva trentaquattro anni. Per lei era un passo difficile e importante da fare, per lui una normale esigenza quotidiana. Leggendo le descrizioni dell’autrice mi resi conto che molto probabilmente quell’uomo aveva sbagliato il modo di porsi e di pretendere quel passo da lei. Non era stato abbastanza prudente e non aveva tenuto conto della differenza di età e di pensieri che li separavano. Ciò aveva spaventato la povera ragazzina. L’aveva fatta ritirare in se stessa perché lei non era ancora pronta. Cosa avrebbe pensato suo padre se l’avesse scoperto? E le sue amiche? Aveva nascosto quella storia a tutti.»

«E crede che sia una storia vera?» lo interruppe Sarah. «Prima ha parlato dei personaggi e del modo in cui questa ragazza descriveva i fatti. Crede sia una sorta di… non lo so, biografia?»

«Fino al penultimo capitolo ho sperato tanto che non lo fosse» rispose Adam.

«Perché? Non mi sembra tanto tragica come storia.»

Ci furono dieci secondi di silenzio.

«La ragazza decise di staccarsi definitivamente da lui. E… lui non la prese bene. Provò a supplicarla, le chiese di restare, le disse che non appena lei avesse compiuto diciott’anni sarebbero stati finalmente liberi e sarebbero andati a vivere insieme. Ma questo fece spaventare ancora più la povera ragazzina. Vivere insieme? Fare l’amore? Tutto ciò la terrorizzava. Era cominciato tutto come un semplice gioco. Lei aveva avuto le attenzioni di un uomo maturo e questo l’aveva fatta sentire più grande, più adulta. Ma poi si era resa conto che fare la vita da adulta implicava delle cose che non aveva messo in conto. Delle cose alle quali non era ancora pronta. Decise di chiudere la storia definitivamente e andò a casa di lui per spiegargli le motivazioni. L’uomo provò a supplicarla ancora ma… quando si rese conto che non c’era più nulla da fare, quando si rese conto che un altro amore se ne stava andando, quando si rese conto che sarebbe potuto restare solo per sempre… perse un po’ la ragione!»

Sarah spalancò gli occhi. «Cosa… cosa è successo poi?»

Adam imitò uno sguardo dispiaciuto. «La violentò… aveva perso completamente la ragione.»

«Oh santo cielo. Ma crede sia una storia vera? Ne è sicuro?»

«Come le ho già detto, ho sperato fino al penultimo capitolo che non lo fosse. Il penultimo capitolo descriveva nei dettagli lo stupro: ogni movimento, ogni lacrima, ogni imprecazione. Chiesi alla ragazza di mandarmi l’ultimo capitolo e lei mi rispose con una semplice lettera. Mi scrisse che l’ultimo capitolo conteneva i veri nomi dei due protagonisti, mi disse che nell’ultimo capitolo avrebbe confessato il colpevole dello stupro e che se volevo sapere chi fosse, dovevo dirigermi in un posto dove avrei trovato il capitolo che avrebbe completato il raccoglitore in pelle nera.»

«La baita» intuì Sarah .

Adam annuì.

«Cioè… aspetti. Qui c’è qualcosa che non va però.» Disse Sarah tenendo le mani ben tese come qualcuno che prova a spiegare qualcosa. «Se questa ragazza aveva intenzione di confessarle questo stupro, perché avrebbe dovuto aggredirla e appiccare l’incendio alla baita? O forse crede che il colpevole dello stupro sia venuto a conoscenza di tutto? O forse è tutta una storia inventata e qualcuno voleva solo incastrarla?»

«Si calmi signorina Sarah» intervenne Adam. «Si calmi dannazione. Sto provando anch’io a ragionare e tutte le sue ipotesi possono essere possibili.»

Sarah si bloccò all’istante e poi abbassò le spalle. «Scusi, ma è veramente una storia incredibile.»

Passò qualche minuto in cui i due non si scambiarono la parola. Entrambi avevano la testa bassa e ragionavano su qualcosa.

«Che intenzioni ha adesso?» gli chiese Sarah.

«Posso chiederle un favore?» disse Adam.

«Certo.»

«Può chiamare il mio Agente? Lui sa tutto di questa storia e vorrei che venisse qui a prendermi. Gli dica solo che sono qui e che sono ferito, e di venire immediatamente.»

«Oh» rispose Sarah mostrando una lieve delusione. «Ma certo. Il telefono sta nella stanza a fianco. Mi dica il numero.»

Adam le dettò il numero e lei provò a ripeterselo a memoria. Andò nella stanza a fianco e mentre lo digitò lo ridettò ad Adam ad alta voce. Adam provò ad ascoltare e sentì solo dei sussurri e dei suoni incomprensibili. Dopo pochi minuti Sarah ritornò nel soggiorno e chiese ad Adam se nell’attesa volesse fare qualcosa. Lui rispose che aveva solo voglia di riposare. Così, Sarah gli disse che ne avrebbe approfittato per fare una doccia, che ci avrebbe messo pochissimo e sarebbe tornata da lui. Adam le rispose che non c’erano problemi e che l’avrebbe aspettata lì approfittandone per riposare in attesa dell’arrivo del suo Agente. Appena finì di pronunciare la frase socchiuse gli occhi e Sarah si orientò verso il bagno. Appena lei cambiò stanza Adam si alzò dal divano e zoppicante raggiunse la porta che lo collegava alle altre stanze. Si concentrò e attese, cercando di sentire il rumore dell’acqua che scorreva dalla doccia. Non appena lo sentì, si orientò nella stanza del telefono con aria preoccupata. Il piede riprese a fargli più male per via del sangue che ricominciò a pulsare nelle parti inferiori delle gambe.

C’era qualcosa di strano in quella ragazza. Adam non le aveva detto né che era stato aggredito e né che qualcuno aveva appiccato l’incendio. Non era ancora arrivato a raccontare quella parte di storia. Si avvicinò al telefono e sollevò la cornetta, voleva solo vedere se l’ultima chiamata effettuata corrispondeva al numero del suo Agente. Quando mise la cornetta all’orecchio rimase scioccato. Non udì un solo suono e il display del telefono rimase spento. Provò a schiacciare qualche tasto ma il telefono non si accese. La spina era attaccata alla presa ma il telefono non era funzionante.

Adam si agitò, sentì il battito del suo cuore che aumentava, provò a guardarsi intorno in cerca di qualcosa: un’arma, un’uscita secondaria, non sapeva bene cosa.

Tum.

Un rumore ai suoi piedi lo distrasse. Guardò per terra in direzione del suono e raggelò. Gli sembrò di avere i piedi incollati al pavimento.

Il libro!

Alzò lo sguardo verso la porta della stanza, in direzione della quale qualcuno aveva lanciato quel libro ai suoi piedi. Si sentì bloccato, faticava a respirare, cominciò ad avvertire una patina di sudore che gli imperlava la fronte.

«Adam Weller» disse Sarah sulla soglia della porta con un’espressione disgustata. «Lo scrittore!»

Adam non riuscì né a rispondere né a muoversi.

«Si, lo so. Ha scoperto che non ho chiamato il suo Agente» disse Sarah con un sorriso malefico. «Le ho detto una bugia, mi dispiace» aggiunse con sarcasmo. Poi il suo sguardo divenne serio, come se si fosse resa conto di qualcosa. «E quante altre bugie le avrò potuto dire?»

Adam restò impalato per cercare di comprendere chi fosse quella ragazza e che cosa volesse da lui, anche se qualche ipotesi l’aveva già formulata.

«Che ne dice se le contiamo?» continuò Sarah. «Vediamo… ad esempio: la baita!» sorrise ancora. «Questa baita non è mia né dei miei genitori. Non ci sono mai venuta prima d’ora, ma le affittano a buon prezzo, mi sono costate due soldi. Ma forse i danni che dovrò pagare saranno parecchi… E poi? Cosa le ho detto altro? Ah, è vero: Wellerfan91. In effetti sono dell’anno millenovecentonovantuno, ho ventisei anni, ma non sono una sua fan. A dire la verità non sono nemmeno una scrittrice. Non avrei la pazienza di scrivere un libro. Vede Adam? Quante bugie stanno saltando fuori? E non mi fermerò qui. Ho deciso di essere sincera con lei. Per caso prima le ho detto… incidente d’auto? Ho detto una cosa del genere? Oh no. Mio Dio… devo essermi confusa. Non è stato un incidente d’auto a portare via Chichy. Si starà chiedendo chi è Chichy, vero? Era mia sorella minore. Aveva  vent’anni e si chiamava Catrin O’Connor.»

Adam spalancò gli occhi e sentì vampate di calore pervadergli il corpo.

«La vedevo un po’ strana negli ultimi anni» proseguì Sarah O’Connor. «Ma non capivo da cosa dipendeva. Qualche motivo amoroso? Lite tra amici? Crisi adolescenziali? La verità l’ho saputa troppo tardi. Chichy aveva iniziato a frequentare un uomo molto più grande di lei, ma dopo un breve periodo di relazione si era resa conto che stava sbagliando e che non era ciò che desiderava. Ma come dice lei Adam, un uomo di trentaquattro anni non poteva rischiare di rimanere solo per tutta la vita, vero? Non poteva farsi sfuggire un’altra opportunità. A proposito, lei quanti anni ha, Adam?»

Lui non rispose.

«Non vuole rispondere? Glielo dico io. Ha trentotto anni. Questa storia è successa quattro anni fa. Lei aveva trentaquattro anni. Che coincidenza, dannazione, sembra una delle coincidenze dei suoi libri che poi portano al colpo di scena finale. Beh, quell’uomo, anche se fatico a chiamarlo uomo, non sopportò la scelta di mia sorella e…» gli occhi di Sarah divennero lucidi. «La violentò.» I due si fissarono negli occhi, entrambi sconvolti. «La piccola Catrin non lo disse a nessuno. Se ne vergognava. Non ne aveva il coraggio. Ma qualcosa in lei era cambiato da quel giorno. Andò in depressione e nessuno di noi riuscì a spiegarsi il perché. Cominciò ad andare da uno psicologo e consultò anche uno psichiatra. Dopo un paio di anni sembrò migliorare, per la gioia di tutti la terapia e l’impegno delle persone intorno stavano dando i loro frutti. Conobbe un ragazzo della sua età e provò a frequentarsi con lui. Tutto scorreva al meglio. Lei era riuscita a tenerci nascosta quella brutta storia e da sola era riuscita a sconfiggerla. Ma qualcosa cambiò ancora… sa cosa mi disse il suo ragazzo dopo il suo suicidio? Mi disse che Catrin non riusciva a fare l’amore con lui. Non sopportava quell’atto, si sentiva vittima di violenza, andava incontro a delle crisi. Ora capisco che per lei era come essere violentata ogni volta… non sopportò tutto ciò e cadde di nuovo in uno stato depressivo. Stavolta più grave. Un anno fa decise di togliersi la vita. Si appese con una corda all’albero in giardino. Tutti ci chiedemmo ancora perché. Perché la depressione? Perché il suicidio? Nessuno seppe darsi una risposta. Ma dopo quattro giorni che non dormivo in camera mia decisi di ritornarci e trovai qualcosa sotto il mio cuscino… era un raccoglitore nero in pelle con una specie di manoscritto al suo interno diviso in capitoli. Non sapevo che mia sorella scrivesse, e forse non lo aveva mai fatto prima. Ma quella volta lo fece. Lo fece per sfogare qualcosa che non era riuscita a sfogare a parole. Cominciai a leggerlo e non so come abbia fatto ad arrivare al finale. Ma l’ho fatto. Mi sono armata di coraggio e sono arrivata all’ultimo capitolo per capire chi fosse il colpevole. L’ultimo capitolo indicava il suo nome: Adam Weller. Così ho deciso di portarla qui attirando la sua attenzione, un capitolo alla volta.»

Sarah infilò la mano destra in tasca e ne estrasse una pistola. Adam fece due passi indietro, si passò una mano sulla fronte e poi congiunse le mani come per chiedere pietà. Provò a borbottare qualcosa ma ne uscì soltanto qualche parola incompleta.

«Voglio chiederle solo una cosa Adam. Come mai ha deciso di raccontare la vera storia ad una sconosciuta? Avrebbe dovuto tenere tutto nascosto, cercare il libro per fatti suoi e farlo sparire. Perché divulgare la storia?»

Adam scrollò la testa come per riprendersi dallo shock. Come se sentisse il bisogno di rispondere a quella domanda. «Io… io… avevo bisogno di sfogare la verità. Volevo… volevo vedere in che modo sarebbe apparso l’uomo della storia agli occhi delle persone. Se come un uomo mortificato… o come un mostro!»

Sarah inarcò l’angolo sinistro delle labbra. «Un mostro, Adam!»

Bam.

Il primo colpo partì e perforò la tibia destra di Adam Weller. Lui urlò e si inginocchiò.

«Non morirà con un colpo di pistola signor Weller. Altrimenti l’avrei ammazzata fuori dalla baita nella quale ho appiccato il primo incendio. Quando ho visto che è riuscito a salvarsi ho atteso che si svegliasse. Sapevo che avrebbe raggiunto l’altra baita. Ho deciso di farla morire bruciato, con il libro di mia sorella sul petto. E così sarà. Si è salvato la prima volta ma adesso non le darò scampo. Anzi, adesso almeno, ho avuto l’occasione per raccontarle tutto.»

Bam.

Un altro corpo gli trafisse la coscia sinistra. Gemette ancora. Si distese, si portò l’avambraccio vicino alle labbra e lo morse per sfogare il dolore. Sentì le sue gambe troppo pesanti, come se un liquido vischioso le avesse inondate. Si contorse su se stesso e pianse. Disse qualcosa rivolgendosi a Sarah, poi a Dio. Ma nessuno lo avrebbe aiutato. Lo sapeva.

Gli sembrò di perdere i sensi una decina di volte. Intorno a lui qualcosa si mosse di tanto in tanto, ma era tutto troppo sfocato. La stanza divenne pian piano meno buia, pian piano meno fredda. Cominciò a sudare abbondantemente e si guardò intorno, vedeva fiamme ovunque ma non riusciva a distinguere nulla, soltanto un peso sul suo petto, un oggetto rettangolare posato sul suo sterno che pesava più delle sue gambe, ardeva più delle pareti intorno. L’ultima cosa che riuscì a distinguere dal caos totale fu una vocina sottile e agghiacciante, una vocina che non ascoltava da ormai quattro anni.

«Portatelo all’inferno!»

 

Recensione:

Ciò che salta immediatamente all’occhio è lo stile dello scrittore, caratterizzato da periodi brevi e dall’utilizzo di molti punti fermi. Questo, per la maggior parte del racconto, non fa altro che assecondare la storia e lo svolgersi della narrazione, dando alle vicende un ritmo continuo e serrato.

Ci sentiamo di dare solo un piccolo consiglio, ovvero di non abusarne troppo, perché in alcuni casi (pochi) stonava un po’ e, di certo, sarebbe stato preferibile l’utilizzo di qualche virgola in più per non dare quel senso di “nettezza” ad alcune frasi e momenti che potevano essere più morbidi e meno incalzanti.

Tralasciando questo piccolissimo particolare, non abbiamo nulla da recriminare alla capacità espositiva dell’autore che è stato capace di deliziarci con una storia di tutto rispetto, dalla grammatica impeccabile e da un lessico vasto.

La storia tiene con il fiato sospeso praticamente fino all’ultima riga.

L‘intreccio narrativo è molto accattivante e ricco di mistero: a cominciare dalle celate identità di Adam e Sarah, per finire alla reale storia appartenente a entrambi che, tra l’altro, li lega oltre ogni immaginazione.

Ottima suspense, buonissime doti narrative e grande capacità di trascinamento: il lettore si ritrova coinvolto in una trepidante attesa che, condizionata anche da una lieve inquietudine, accresce la voglia di arrivare in fretta alla fine del racconto, anche solo per saperne di più e per conoscere le sorti dei personaggi. Tra gli altri, questo aspetto è da considerare uno dei maggior pregi riscontrati durante la lettura e l’analisi del testo.

Per qualsiasi necessità o chiarimento siamo a disposizione. Complimenti davvero e grazie per la partecipazione!

Lo staff