Vincenzo Romano: Concorso di scrittura creativa

Concorso di scrittura creativa: racconto di Vincenzo Romano

Qui di seguito potrete leggere il racconto ideato dallo scrittore Vincenzo Romano, partecipante al concorso di scrittura creativa indetto da noi.

Il racconto è stato riportato così come ci è stato inviato, senza alcuna variazione.

Al termine dell’articolo, subito dopo il racconto, vi è la recensione dello staff.

Incipit fornito dallo staff:

“Tic. Tic. Tic.”
Sembrerebbero goccioline d’acqua. Piove. Un’amara meraviglia pervade e mi accende l’animo. Mi chiedo come faccio a riconoscere questo rumore, persino a dargli un nome. Un momento, mi serve un momento per pensare. Una goccia tiepida mi cade sulla fronte; non riesco ad aprire gli occhi, le mie palpebre sembrano incollate. Sento il mio corpo: c’è, ma non riesco a muovermi. Sono come paralizzato.
Non recepisco alcun dolore, non è quella la sensazione che ho in circolo. Tento di far spazio nella mia mente, alla ricerca di ricordi. È tutto così buio.

Provo a muovere la bocca, con rabbia ascolto quelli che sembrano essere solo suoni confusi e privi di significato. La mia capacità di parlare non è al passo con i miei pensieri. Un’altra goccia mi cade sul viso, d’istinto mi sforzo di aprire gli occhi.
“Aaaaah!” Emetto un rantolo di dolore, ho commesso uno sbaglio. Aprire le palpebre in quel modo è stato come permettere a fiamme ardenti di penetrare nel mio sguardo. Il dolore sembra aver risvegliato i miei muscoli, così le mie mani raggiungono il mio viso e lo stropicciano tastandone la consistenza: tento di riportarmi alla realtà. Cerco di abituarmi pian piano al fascio di luce che entra dalla finestra. Mi guardo intorno, non capisco dove sono.
Inspiro. Un fetido odore mi invade i polmoni. Ho caldo. Troppo caldo, il sudore mi cola dalla fronte come una cascata. Guardo fuori, il sole sembra sfociare in un pallido tramonto. Solo quando la parete alla mia destra comincia a prendere fuoco, mi accorgo che quel posto sta bruciando.
Sento un peso sul petto, fatico a respirare. Ma non è unicamente colpa dell’ossigeno che comincia a mancare, ho qualcosa sul torace. È un oggetto rettangolare, morbido, rivestito di pelle. Un libro, un diario, qualcosa del genere. Raccolgo ogni briciolo di forza che sento di avere e provo ad alzarmi. Mi trascino verso la porta, procedo a tentoni per trovare una via d’uscita. La mia vista è ancora annebbiata.
Sbatto contro le pareti roventi, tengo stretto quel libro per non perderlo e tento di trovare una via d’uscita. Non riesco più a reggermi in piedi, respiro a fatica, parte del mio corpo sembra non rispondere ai miei comandi. Mi butto sull’ultima porta che si apre mostrandomi un nuovo mondo. Sento i raggi del sole sfiorare la mia pelle. Accarezzo le cuciture di quel libro che custodisco preziosamente, tenendolo stretto. Inspiro un’ultima boccata d’aria fresca prima di chiudere gli occhi e riposare, anche solo per un istante.

Racconto scritto dall’autore Vincenzo Romano: San Tommaso Del Verocchio

 

La meraviglia si fece strada attraverso le altre sensazioni. Non riesco a credere che abbia funzionato. Un piano disperato resta tale fino a che non riesce. Il ricordo delle ultime parole di Tarah gli strappò una specie di sorriso.
Il rumore di un crollo invase il silenzio.
L’incendio! Devo sbrigarmi, e nascondermi.
L’uomo fece un respiro profondo, prima un ginocchio a terra, poi in piedi.
Un passo, poi un secondo. Respira soldato! «Sissignore» mormorò tra i denti. Con passi via via meno incerti l’uomo attraversò la radura. Quando fu al riparo della boscaglia si concesse una breve sosta. Come faccio a sapere che mi trovo nel posto giusto? Il libro era autentico, ma qualcosa potrebbe essere andato storto. Avrei dovuto insistere per avere un appoggio.
Osservò la struttura in legno, dalla quale era uscito pochi istanti prima, collassare su sé stessa. Te lo meritavi, bastardo. Quello che hai scritto qui dentro mi basta per non provare alcuna pena per te. L’incendio di un piccolo monastero non passerà alla storia, soprattutto durante un’invasione, ma tu hai finito di fare i tuoi affari. La missione! Non devo distrarmi.
Damien si mosse furtivo, si allontanò dal fuoco che stava divorando le robuste travi di legno. Dopo circa un’ora fece una sosta, sistemandosi alla meglio sotto un rifugio da cacciatore abbandonato. Il passaggio mi ha stremato, devo riposare «Se fallisco siamo perduti.»
Un sonno tormentato venne in soccorso della mente dell’uomo, ingombra di pensieri densi e pesanti. Sognò la sua casa, vicinissima a diventare un deserto, e i maghi che lo avevano coinvolto in quell’ultimo disperato tentativo. Gli invasori stavano vincendo, gli uomini non avevano la forza di contrastare le loro macchine e le loro armi. Si svegliò del tutto, quel tipo di sogni non consentiva di riaffacciarsi alla realtà con dolcezza.
Fa freddo dannazione, dovevo coprirmi di più. Era stato addestrato ad agire senza equipaggiamento, troppo complesso e pericoloso inviare.
«Se continuo a parlare da solo diventerò pazzo» mormorò tra sé. Ecco, l’ho fatto di nuovo, sarà meglio che mi sbrighi a trovare qualcuno che possa aiutarmi, non ho intenzione di restare qui per sempre.
Si mise in marcia, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti e di qualcuno a cui chiedere informazioni. L’alba tingeva di rosa metà del cielo, mentre lui ripassava le istruzioni ricevute. La strada per Firenze era un viottolo lastricato di pietre, la individuò con facilità salendo su una piccola altura. Tagliava la campagna da nord a sud, seguendo il profilo delle colline.
Un cartello al primo crocevia gli confermò che stava andando nella direzione giusta. Non potevano darmi qualcosa da scambiare quegli stregoni da strapazzo? Ho soltanto il diario di un abate disonesto morto in un incendio. A proposito di incendi? Cos’è quello?
Un filo di fumo attirò l’attenzione dell’uomo, che ne raggiunse la base passando per i campi. Un accampamento improvvisato era stato devastato e dato alle fiamme. Chiunque ne fosse responsabile, non si era nemmeno preoccupato di bruciare i corpi.
Buon per me, magari trovo qualcosa da mettere addosso al posto di questa tonaca sudicia.
Con cautela l’uomo si aggirò per l’accampamento, finché trovò un cadavere cui potesse sottrarre abiti più o meno integri. Vestito come un soldato di ventura riprese il cammino verso Firenze. Marciò lungo la strada per diverse ore senza incontrare anima viva.
Dove sta la gente di questo maledetto posto?
Mentre il sole rivolgeva il suo ultimo sguardo al crinale occidentale delle colline, Damien scorse un edificio, poi un altro. Un segnale malamente attaccato ad un palo conficcato nel terreno diceva: “San Casciano”.
L’uomo cercò un luogo di ritrovo, aggirandosi con passo svogliato tra le case. Il paese sorgeva in cima ad un’altura. Superato il punto più alto dell’abitato, l’uomo scorse finalmente la sua destinazione. Firenze giaceva nella valle, con i tetti baciati dalla luce dorata del tramonto. Assorto in quella visione, non notò il movimento alle sue spalle. Il colpo giunse rapido e preciso, gli occhi rotearono all’indietro e l’uomo si accasciò privo di sensi.
«Forza bifolchi, portiamo questo mercenario al campo, ci sono un bel po’ di cose che il capitano vorrà sapere da questo qui» Come avrà fatto ad arrivare così a nord senza essere avvistato? Napoli deve pagare bene questi uomini per fargli compiere follie del genere.
Immerso in questi pensieri, l’ufficiale fiorentino proseguì la marcia verso il campo.
«Muoversi ho detto, siete soldati, non madonne in gita sui colli!»
Il piccolo plotone concluse il suo giro di perlustrazione varcando l’unico ingresso della palizzata di legno, su cui garriva uno stendardo con un giglio rosso in campo bianco. Il manipolo si sciolse all’ordine dell’ufficiale. Il prigioniero, ancora privo di sensi, fu gettato in una robusta gabbia di legno.

Dolore diffuso, sordo. Mi hanno preso alle spalle, sono un maledetto idiota. Piano, questa volta l’uomo aprì gli occhi molto lentamente. La notte era calata sul campo. Se non altro ho trovato qualcuno. Devo sbrigarmi. «Acqua, acqua» gridò, sperando di ricordare la pronuncia corretta.
Un’ombra si mosse, allontanandosi da uno dei fuochi accesi all’interno della palizzata.
«Dormi bestia!» gridò all’indirizzo dell’uomo in gabbia «non ti abbiamo portato qui per svegliare tutta la compagnia.»
«Acqua, dammi dell’acqua per favore»
Una ciotola di legno riempita a metà da un otre fu tutto quello che ottenne. Bene, non vogliono uccidermi, almeno non subito.
L’alba giunse fin troppo presto, Damien si era addormentato nuovamente.
Il campo si stava ridestando per una nuova giornata. Le sentinelle rientravano per godersi qualche ora di meritato riposo. Un giovane soldato dall’aria trasandata si avvicinò alla gabbia «è ora di colazione figlio di cane» urlò, scagliando tra le sbarre un pezzo di pane vecchio di molti giorni.
«Fammi… fammi parlare con il tuo capitano»
«Non temere bastardo, ci parlerai presto, ho proprio voglia di sapere che fine deciderà per te.»
Dopo poco più di mezz’ora un uomo si avvicinò alla gabbia. Indossava un’armatura identica a quella degli altri soldati, e parimenti usurata. Solo il portamento lo distingueva dai suoi sottoposti, una naturale eleganza nell’incedere portò Damien a concludere che stava per parlare con il comandante di quella piccola truppa.
«Per chi combatti, cane?»
Speravo che almeno nel linguaggio potessi distinguerti, caro capitano di ventura
«Beh, rispondi o devo farti torturare? Sei con il papa? Con Napoli?»
Un colpo di tosse squassò la gola del prigioniero, che riuscì appena a rispondere «nessuno dei due.»
«Per chi combatti allora? Parla! O te ne pentirai!»
«Questa non è la mia guerra, sto cercando un amico disperso durante un combattimento. Devo raggiungere Firenze, lui farà lo stesso»
«E cerchi di andarci vestito come uno dei nostri nemici? Non sei poi tanto intelligente dico io.»
Non dirgli la verità. Va rivelata solo se indispensabile «mi ero rifugiato nel monastero di Tavernelle, a un giorno da qui, hanno incendiato tutto e sono scappati, mi sono salvato per miracolo.»
Bene, forse ci crede! «Per strada ho incontrato un drappello di soldati morti, a loro i servizi di questi abiti non erano più utili.»
E così saresti un povero disgraziato che ha rubato i vestiti sbagliati eh? Parli troppo bene per essere francese, ma non sei di Firenze «Da dove vieni?» chiese all’improvviso il capitano.
«Volterra» rispose Damien.
«Non sarò io a ucciderti, uomo di Volterra. Ci farai compagnia da quella gabbietta fino alle mura. Una volta a Firenze decideremo cosa fare di te.»
Damien abbassò lo sguardo per non tradire le sue emozioni. Vado in città con la scorta, non potevo chiedere di meglio.
La compagnia si mise in marcia a metà della mattina. Poco dopo mezzogiorno sarebbero rientrati al riparo delle mura. Il capitano, lasciato il vessillo in testa alla colonna, cavalcava lungo la fila per mantenere l’ordine, la compagnia era euforica per il ritorno a casa.

Damien sobbalzava ad ogni irregolarità del terreno. Per la prima volta dal suo arrivo aveva tempo per guardarsi attorno. La città, adagiata in una valle circondata da colline, stava vivendo il suo periodo d’oro. Quella magica combinazione non si sarebbe mai più ripetuta. In quel periodo storico Firenze era uno degli snodi fondamentali… Maledetti incantesimi mentali, mi hanno ficcato in testa una montagna di informazioni inutili.
L’uomo sorrise ripensando al litigio con Tarah.
«A cosa mi serve tutta questa roba? I maghi sono preziosi per la nostra difesa, non possiamo sprecare il loro potere per infilarmi in testa queste informazioni.»
«Più conoscerai il luogo dove ti mandano e meglio sarà! Fai il bravo bambino e impara la lezione.»
Tarah, quanto vorrei essere certo di rivederti. Prima troverò quell’uomo e prima potrò attivare l’incantesimo per tornare a casa.
La voce del capitano riportò Damien alla realtà «Fermi, fermi qui. Dobbiamo parlare con le guardie se non vogliamo essere infilzati come fagiani.»
Il soldato si incamminò verso la porta, accompagnato dal suo stendardo. Lo stemma gigliato oscillava dolcemente a ogni passo dell’alfiere.
Devo trovare il modo di scappare prima che mi chiudano in qualche cella. È il momento di fare una bella sorpresa a questi gentili signori.
Damien si gettò con tutto il suo peso contro un lato della gabbia in cui era rinchiuso
«Ehi, l’uccellino vuole scappare!» commentò ridacchiando un soldato «Che c’è, non ti piacciono le celle dei Medici?»
Damien lo ignorò e diede un altro colpo. La gabbia si mosse verso il fondo del piccolo carro su cui era appoggiata.
«Piantala, non riuscirai a spezzarla!»
Un altro colpo.
Lo sventolio dello stendardo, ancora presso la porta, diede alla compagnia l’ordine di avanzare.
La gabbia era sbilanciata. Damien attese la partenza del mulo per darsi lo slancio. Sfruttando quel momento si scagliò nuovamente contro le sbarre. Cadi maledizione! Si!
La gabbia rotolò giù dal carro, in quell’istante il suo occupante svanì.
«Maledetto bastardo, ti darò tante di quelle bastonate da farti passare la voglia di scherzare!»
«Dove diavolo è finito? Ehi, venite qui! Il prigioniero è scappato.»
La colonna che si stava mettendo in marcia si disperse subito, affollandosi intorno al carretto e alla gabbia. Nella confusione che seguì, qualcuno aprì la serratura per guardare all’interno.
Era ora! Damien scattò in avanti, la testa ancora dolorante per l’urto di poco prima, la porticina si spalancò e lui si gettò fuori scansando alcuni soldati, resi immobili dall’incredulità.
Credevate di avermi preso in trappola? Meno male che sono stato prudente.
L’uomo corse verso l’ingresso della città, dal quale il capitano aveva iniziato a muoversi verso la sua compagnia, per capire il motivo di quel trambusto. Si addentrò tra vie e vicoli badando solo a non toccare nessuno, quando fu solo mormorò la formula di interruzione e tornò visibile.
Devo sbarazzarmi di questi vestiti. Ecco prenderò in prestito i suoi.
«Domando scusa messere, potrebbe cortesemente indicarmi…» il colpo raggiunse la nuca del fiorentino, che cadde stordito. Damien si cambiò, indossando abiti meno riconoscibili, quindi si incamminò a passo sicuro.

Gli ci volle meno di mezza giornata per trovarlo. Sapeva dove abitava e presso quale casa stava svolgendo i suoi studi. Capelli lunghi, poco pettinati, una tunica ampia e poco ricercata.
«Voi siete quel giovane artista figlio di Ser Piero, messere?» chiese piano, per non attirare l’attenzione di altre persone.
«Chi mi cerca?» rispose calmo il giovane, i suoi occhi sembravano guardare qualcosa in lontananza.
«Il mio nome non ha importanza, ho un messaggio molto importante da riferire»
«Se sono i miei creditori digli che ho quasi ultimato delle opere già vendute»
Damien sorrise «i creditori non c’entrano, è una faccenda assai più seria. Devi lasciare gli studi che hai intrapreso»
«Come osi! Non sai nemmeno di cosa…»
Ascoltami imbecille, stiamo parlando della sorte di ciascun abitante di questo mondo «se lo farai, il mondo intero ti sarà debitore»
«Non lascerò i miei studi, ci ho messo anni per trovare un punto di partenza.»
«Se non mi stai a sentire condanni tutti quanti, concedimi pochi minuti della tua attenzione. Deciderai dopo se fare quello che ti chiedo.»
Il giovane annuì, i due si incamminarono verso la via dei Calzaiuoli. Damien taceva.
Non sarà facile, ma devo convincerlo a ogni costo. Ecco, questo è il posto giusto.
Il Cristo del Verrocchio li accolse con il braccio levato e l’espressione serena.
«Chissà come sarà quando sarà finita» esordì Damien
«Messere, ma quest’opera è finita.» rispose l’altro.
«Sai bene che non è così, anche se ci vorranno altri cinque anni perché San Tommaso venga a fare compagnia a Gesù.»
«Ma come fai a?» si accorse di aver urlato
«Il motivo non sarà facile da credere, ma so che il progetto prevede due statue. Ti ho portato qui perché il mio San Tommaso sei tu.»
«Continua.»
«Ufficialmente sei allievo di Toscanelli. Studi geografia, astronomia, fisica e anatomia. Io so che questo non è vero.»
«E cosa starei facendo in realtà.»
«Esoterismo, magia. È questo quello che stai veramente praticando.»
L’espressione del giovane mutò di colpo. Non rispose nulla.
«E adesso arriva la parte difficile. Il motivo per cui devi lasciar perdere queste materie di studio e ritornare all’ingegneria e alla meccanica.»
Ancora silenzio.
«La storia di gran parte dell’umanità dipende da questa tua scelta.»
«Cosa? Tu devi essere pazzo. Io sono un garzone di bottega»
«Il mio nome è Damien, sono stato mandato qui da un tempo lontano per cambiare il futuro.»
«Il futuro?»
«Tra molti anni saremo attaccati da gente di un altro mondo. Verranno con delle navi in grado di solcare i cieli. La nostra magia non sarà in grado di fermarli… e perderemo.»
Mi aspettavo un’espressione più stupita, forse non riesce a comprendere quello che gli sto dicendo.
«Continua, messer Damien, non ho capito cosa c’entro io con questa favola.»
«Tu, caro signore, dopo alcuni anni trascorsi a studiare nella bottega del Verrocchio, ti sei dedicato al mondo dell’occultismo. Quello che scoprirai influenzerà la storia del mondo.»
«Mi parrebbe codesta cosa buona. Sono in errore?»
«I nostri sapienti hanno interrogato il passato per molti anni. Non vinceremo mai questa guerra con le arti magiche. Dobbiamo combattere la gente di un altro mondo con le sue stesse armi.»
«Cosa dunque vorresti da me?»
«Se tu abbracciassi lo studio della scienza, il futuro cambierebbe strada. Potremo essere pronti a difenderci quando le navi verranno dal cielo per attaccarci.»
«Come faccio a sapere che non mi stai prendendo in giro?»
Non lo convincerò continuando a parlare con lui, devo usare le maniere forti
«Ti lascerò entrare nella mia mente. Vedrai tutto con i tuoi occhi»
Damien prese le mani del giovane e se le portò alle tempie.
«Guarda tu stesso, ti mostrerò il futuro.»
E Leonardo vide.
Vide il mondo come sarebbe stato secoli dopo la sua morte, vide gli uomini piegare le energie della natura con formule sempre più complesse per ottenere quanto necessitavano.
Vide la speranza sbocciata con l’avvistamento delle navi spaziali, e la delusione, cocente e dura ai primi segnali ostili da parte dei visitatori.
Vide la guerra, e tutti i tentativi di fermare gli invasori con la magia. La tecnologia degli spaziali era in grado di creare grandi devastazioni in pochi istanti.
Vide macchine volanti, scafi in grado di navigare sott’acqua e carri dall’armatura quasi indistruttibile.
Vide il piano disperato dei Saggi, la scelta di Damien e il suo durissimo addestramento in preparazione alla missione.
Come San Tommaso vide, e credette.

Quando si risvegliò, seduto a terra contro il muro di un edificio, seppe che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata.



Recensione:

Lo stile dell’autore è piacevole, caratterizzato da fluidità e da un lessico variegato e, spesso, superiore alla media. Le capacità espositive sono evidenti, tanto che il racconto si legge tutto d’un fiato, senza alcuna problematica o interruzione. Non vi sono elementi di disturbo: la grammatica, la sintassi e la punteggiatura sono perfette.

Vi è un buon bilanciamento tra discorsi diretti e indiretti, benché questi ultimi siano in numero maggiore all’inizio dello scritto. Infatti, man mano che la storia e le vicende prendono piede, viene lasciato più spazio ai dialoghi. Questo, però, non fa perdere affatto consistenza alla storia, anzi.

La narrazione si svolge intrecciandosi in una maniera tale da rendere curioso il lettore che, quasi fino alla fine del racconto, non sa che cosa stia effettivamente facendo o cercando Damien. Solo al termine si riescono a collegare tutti i punti e, sotto questo aspetto, la scelta di costruire in tal modo il racconto è di sicuro positiva e ottimale. Riesce a tenere ben salda l’attenzione di chi legge e sembra non mancare nulla che renda il testo sicuramente completo.

I limiti di lunghezza non hanno impedito di creare un buon prodotto; sicuramente, senza questi, potevano essere approfonditi alcuni punti, magari sul finale, su quello che prova Leonardo e su come poi effettivamente deciderà di cambiare la sua vita. Tuttavia, anche così va più che bene.

In conclusione, il parere è sicuramente positivo e, anzi, invitiamo l’autore a pensare di utilizzare tale racconto come base per una storia più lunga; siamo certe che potrebbe venir fuori un buonissimo prodotto e sarebbe interessante conoscere ancor meglio le dinamiche che si instaurano nelle vicende (magari dando più risalto a quel futuro che Damien voleva a tutti i costi cambiare).

Per qualsiasi chiarimento siamo a disposizione, ovviamente.
Complimenti per la stesura ottimale e grazie per la partecipazione!

Lo staff