Il club delle befane: recensione racconto

Racconto della scrittrice Micol Fusca: Il Club delle Befane

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Non era la prima volta che il direttore del Resort convocava Mattia a quell’ora insolita. Appena giunto con la navetta il suo cercapersone iniziò a cicalare. Aggeggio arcaico, lo sapeva, ma lui era della vecchia guardia. A sessant’anni suonati manteneva l’aplomb guadagnato in anni di servizio: ne erano passati molti da quando correva per le strade di Napoli alla ricerca di raggranellare qualche moneta svolgendo piccole commissioni.

Gli piaceva lavorare al Lkr: una struttura cinque stelle lusso, progettata per offrire il massimo confort agli ospiti. La splendida location aumentava il suo pregio. Il Resort sorgeva su una piccola isola privata che si affacciava al canale di San Marco: le suite ai piani superiori offrivano una vista mozzafiato.

Gli piaceva anche il Signor Giordano. Pochi ne erano a conoscenza, ma l’anziano direttore era uno dei soci proprietari. Gestiva il personale con polso fermo e gentilezza di altri tempi: non era parco di critiche, ma nemmeno di complimenti. Andavano d’accordo e Mattia non aveva mai avuto motivo di rimpiangere i turni di lavoro che a volte lo tenevano lontano da casa per giorni: erano ben ricompensati.

Lo accolse con un sorriso cordiale, alzandosi dalla scrivania per farlo accomodare di fronte a sé. Si strinsero la mano scambiando brevi convenevoli: la moglie di Mattia si era assentata per fare visita alla figlia in Germania, la nipote di Giordano aveva superato brillantemente l’ultimo esame all’università.

– Mattia, vorrei affidarti un compito che ho particolarmente a cuore. Ho riservato Villa Seta d’Oriente per delle ospiti importanti: sono certo che la tua professionalità e gentilezza saprà metterle a loro agio. –

Maggiordomo di professione non era nuovo a simili richieste. L’estate prima si era preso cura di un emiro e le mogli. Il suo incarico non si limitava a soddisfare i bisogni materiali dei clienti, ma a prevenirli e soddisfare quelli che nemmeno sapevano di avere. Dal suo cilindro magico riusciva a estrarre guide titolate, ingressi privati a musei, prenotazioni in locali esclusivi, concertisti ingaggiati per accompagnare la cena nel salone principale della villa: tutto quanto era possibile ottenere grazie a un buon portafoglio.

Villa Seta era l’unica dependance privata della struttura. Doveva il suo nome agli antichi arazzi di seta blu Cina appesi alle pareti e ai vasi Ming collocati ad arte: preziosi dettagli a contrasto di un arredamento lineare e minimalista.

Era immersa nel parco secolare, ingentilita da un giardino e una piscina: poteva essere ben definita un gioiello nel gioiello. Gli ospiti alloggiati lì godevano della massima privacy.

Giordano poggiò i gomiti sulla scrivania in un atteggiamento informale che non gli apparteneva, sporgendosi verso di lui.

– Vedi, una delle Signore che soggiorneranno da noi ha cambiato radicalmente la mia vita. Ti ho mai raccontato di essere orfano? – prese atto del suo cenno sorpreso. – Sono un orfano di guerra. I miei genitori sono morti sotto le macerie: mi sono salvato per miracolo. A quel tempo i soldi scarseggiavano. I miei zii non potevano occuparsi di un altro bambino. –

Mattia aveva sentito i genitori parlare dei bombardamenti: sapeva che la città di origine di Giordano, Torino, era stata devastata dai raid aerei.

– La Signorina Italia mi ha offerto un tetto, nutrito e protetto fino alla fine del conflitto. Non ero il solo: ha accolto molti ragazzi nella sua casa e ha trovato loro una famiglia in grado di donare amore. Il suo piccolo orfanotrofio somigliava al paradiso: coperte calde, cibo sostanzioso, una carezza al momento giusto. Ricordo ancora i balocchi di legno che infilava nelle calze di lana appese alla porta della camerata la notte dell’Epifania.

Sono stato adottato da una famiglia eccezionale che mi ha amato ed ho amato profondamente. –

Il maggiordomo riusciva a comprendere l’affetto del suo superiore per l’anziana signora.

– Non ha smesso di occuparsi dei suoi “bambini”. Il nuovo istituto costruito negli anni sessanta accoglie quelli abbandonati in strada da prostitute e famiglie indigenti. A tutti, assicura un futuro sebbene intralciata dalla burocrazia che vorrebbe trarre vantaggio dalle disgrazie altrui. La Signorina Italia sa come muoversi fra serpenti e aspidi.

Lei e le sue amiche, donne altrettanto di cuore, sono solite trascorrere la notte del cinque gennaio assieme. –

Mattia sorrise: quel compito non gli dispiaceva. – Consulterò lo chef per preparare un menù degno del loro palato. La musica classica incontra il gusto della Signora? Conosco i musicisti di un quartetto d’archi disponibili a lavorare nelle festività. –

Giordano si schiarì la voce, mutando l’espressione mite degli occhi in divertita. – No. Pensavo ad altro. Lascio a te ogni incombenza, quello che devi organizzare si avvicina più a un sofisticato addio al nubilato che a una riunione all’ospizio. Ingaggia uno dei migliori dj disponibili: ho qui una lista di riferimento basata sui suoi gusti musicali. – spinse verso di lui un foglio posato alla sua destra.

Mattia lo adocchiò velocemente, sentendo le sopracciglia incurvarsi: Sia, Coldplay, Massive Attack. La Signora aveva strani gusti musicali per essere nata prima della seconda guerra mondiale.

– Avranno bisogno di compagnia. – il guizzo nel suo sguardo fu eloquente. – Sono sicuro che le Signore vorranno far visita al Casinò dopo cena. –

Il maggiordomo forzò i muscoli della bocca a rimanere ben chiusi: d’istinto l’avrebbe aperta in una poco elegante “o” di stupore.

– Conosco… qualcuno che potrebbe essere lieto di accompagnarle. – Nei suoi taccuini aveva appuntato una lista piuttosto nutrita di maturi gentiluomini disposti a tutto per recuperare i soldi spesi ai tavoli da gioco.

– No, no. – Giordano scosse la testa seguendo il corso dei suoi pensieri. – Non devono avere più di trent’anni. Assumi dei professionisti abituati a trattare con dame dell’alta società: tartarughe, non pancette. –

Mattia annuì a disagio. Prese la lista, deciso ad accomiatarsi.

Le ospiti sarebbero giunte il mattino dopo: doveva organizzare tutto con estrema cura.

Giordano lo accompagnò alla porta congedandolo con una pacca sulla spalla. – Conto su di te. –

La Signorina Italia fu la prima a raggiungerlo alla reception. Una donnina piccina, magra e sorridente: sulle guance spiccavano due fossette che conquistarono d’immediato la simpatia di Mattia.

Vestiva un cappotto pesante troppo grande per la sua figura: la faceva somigliare a un buffo pupazzo di neve color cammello. Il cappellino in tinta posato sui capelli ricci color indaco completava l’illusione. Ricordò che anche sua nonna aveva l’abitudine di ravvivare i capelli con quelle improbabili fiale che, lungi dal donare un riflesso argentato, la facevano somigliare alla fata turchina. Quando era bambino, ne era affascinato.

– Buongiorno, giovanotto. –

Sorrise, inchinandosi leggermente. – Al vostro sevizio Signora. –

– Signorina. – la voce orgogliosa della donna si levò piccata, in netto contrasto del sorriso che ancora le piegava le labbra.

– Signorina. – si chinò nuovamente, sperando di non averle arrecato offesa.

– Chiamami Talia. –

Mattia indicò a uno dei fattorini il magro bagaglio con cui era giunta: prima che il ragazzo potesse metterci mano, la vecchina lo raggiunse con la velocità di una centometrista.

Raccolse un oggetto piuttosto insolito, tornando ad avvicinarsi a Mattia. – Questa, tienila tu. Mettila al sicuro, me la restituirai prima della partenza. –

Mattia afferrò la scopa con leggero imbarazzo, non sapendo cosa pensare. Talia gli era sembrata bizzarra, vero, ma non pazza. La ramazza non somigliava a quelle in vendita al supermercato. Al bastone di salice erano stati fissati rami essiccati di sanguinello: gli parve antica.

La donna ridacchiò, divertita dalla sua reazione. – Suvvia, Mattia, non è un’arma da fuoco. Troverai un angolo in cui custodirla al sicuro. –

Annuì, recuperando compostezza. – Sarà mia cura farlo, Signorina Talia. –

L’arrivo di nuovi ospiti lo distrasse. Giordano lo aveva informato che le Signorine sarebbero giunte puntuali: alle dieci del mattino.

Aveva saputo che le amiche della Signorina Italia gestivano altrettanti orfanotrofi.

La matrona appena uscita dalla navetta era gigantesca. Aveva rifiutato categoricamente l’aiuto del conducente per raggiungere la passerella, sfidandolo ad aprir bocca con un grugnito.

Non poteva che essere Elga, la tirolese: fianchi larghi, alta, braccia e gambe grandi quanto piccoli tronchi. Appariva più trasandata dell’amica. I capelli bianchi le cadevano a ciocche disordinate sul viso e il suo abbigliamento ricordava la moda degli anni cinquanta. Nessun vezzo per l’algida istitutrice teutonica.

Scaricò la valigia che teneva in una delle mani accanto a quella di Talia e la scopa che teneva nell’altra in quella di Mattia.

Lo osservò con uno sguardo di ghiaccio, facendolo sentire ridicolo: fuori luogo come uno spaventapasseri.

– Con… permesso. – poggiò le ramazze con delicatezza, prevedendo di doverne prendere in consegna altre due. Dette alle nonnine il merito del senso dell’umorismo.

– Non sono ancora arrivate? – Elga, l’accento pesante, sembrò irritata.

Italia osservò l’orologio che portava al polso. – Beh, tesoro, siamo noi a essere in anticipo. Mancano cinque minuti alle dieci. –

La gigantessa sbuffò. – Scommetto che Santina spaccherà il secondo e che Assunta sta ancora recitando il rosario. –

– Mai scommettere su di me Honig. – una donna altrettanto alta, filiforme e scura di carnagione batté la spalla di Elga facendola trasalire. I capelli ancora folti erano raccolti in una crocchia sulla nuca. – Ho già onorato la Madre Santa all’alba e non ci vuole poi molto per arrivare a Venezia in volo. Olbia non è dall’altra parte del mondo. – allungò la scopa in direzione della reception. – Grazie Mattia, mettila al caldo. –

– Nessuno vi ha mai detto che è maleducato non rispettare gli appuntamenti? L’anticipo è deprecabile quanto il ritardo! – la donna in rosa ad aver pronunciato la sentenza era piuttosto arrabbiata. La cadenza della sua voce, simile a una cantilena, risuonò stridula. Mattia conosceva quell’inflessione: in gioventù aveva lavorato in un hotel del Salento.

La Signorina Santina ridusse gli occhi in due fessure, osservandoli con evidente biasimo. L’anfitrione si rese conto dall’occhiataccia della donna che non lo riteneva estraneo al rimprovero.

Delle quattro, era quella più vezzosa. Indossava una mantella di lana pesante, rosa, e il volto era truccato con l’accuratezza frutto della consuetudine. Le lunghe ciglia erano enfatizzate dal mascara e il tratto della matita, di una sfumatura cromatica più calda del rossetto, seguiva con pignoleria i bordi delle labbra grinzose.

Mattia indovinò provasse disagio per la capigliatura rada. Aveva acconciato i capelli cotonandoli fino a farli diventare un’aureola. Doveva essersi recata dal parrucchiere per la piega non appena scesa dal treno.

Raccolse l’ultima scopa poggiandola con le altre. – Bene, Signo…Signorine – una nuova occhiataccia di Italia lo invitò a utilizzare quel titolo desueto. – spero che il vostro viaggio sia stato piacevole. Vi condurrò a Villa Seta d’Oriente non appena pronte a percorrere il viale. Sono fiducioso incontrerà il vostro benestare. –

Santina sorrise civettuola. Un cambio d’espressione tanto repentino da lasciarlo nuovamente senza parole.

– Forza, Caro, abbiamo bisogno di poggiare le nostre stanche anche – ridacchiò divertita per la rima. – Dobbiamo riposare per bene e recuperare le forze prima del party. –

– Sì… – Fece loro strada dopo aver preso rapidi accordi con il fattorino per trasferire le valige alla dependance.

Le anche delle Signorine non gli parvero così acciaccate. La Signorina Italia non era l’unica a procedere spedita. Tenere testa alla falcata di Elga costò a Mattia diversa fatica. Cercò di stemperare l’imbarazzo con un complimento.

– Signorina Elga, il vostro passo è invidiabile. Degno di un’atleta. –

– Honig. – la gigantessa piegò le labbra in quello che somigliava a un sorriso. – Se Italia è Talia, io sono Honig. Lei Suta – indicò Assunta per finire con Santina – e lei Ana.

Non hai organizzato una cena a base di sushi, vero? –

Mattia scosse il capo, incerto. – No…-

Elga sospirò rumorosamente, con evidente sollievo. – Dio è buono. –

– Oh, sei la solita guastafeste. – Santina arricciò le labbra in una smorfia indispettita. – Lo scorso anno non ti sei lamentata. Ti sei divertita quanto noi a disfare quel capolavoro di Nyotaimori. –

– Non sono sicura che “disfare” sia il termine adatto. – Assunta prese parola saccente. Le calze a pressione graduata e le scarpe ortopediche non le impedivano di mantenere l’andatura. – I giapponesi utilizzano il termine Nyotaimori prendendo a riferimento un corpo femminile. Gli americani sono soliti chiamarlo body sushi. –

Santina alzò le mani al cielo esasperata. – Va bene, sapientona! – si rivolse all’altra – Ti sei divertita parecchio a “spostare” pesce dal “body” di quel bel ragazzone asiatico.

Non venirmi a dire che avresti preferito usare le bacchette per mangiare crauti. –

– Su, su, ragazze. Non litigate. – La Signorina Italia le aveva raggiunte prendendone due a braccetto. – Il povero Mattia sta prendendo fuoco. –

La vecchina non sbagliava. Mattia sentiva le guance in fiamme come quelle di un adolescente. Preferì tacere, procedendo in direzione di Villa Seta d’Oriente.

Le donne lo seguirono ciarliere, allegre come fringuelli. Gli dettero l’impressione di conoscere perfettamente il percorso del labirinto di siepi verso cui aveva deviato per rendere la passeggiata più breve. Non persero una sola volta l’orientamento, svoltando nella giusta direzione ancora prima che Mattia facesse cenno a portarsi allo svincolo successivo. Avrebbe avuto di che raccontare alla moglie una volta tornata a casa: era certo che Nicoletta si sarebbe divertita come una pazza e avrebbe sodalizzato con le “nonnine”.

Giunti a destinazione si concesse alcuni istanti per far ammirare alle ospiti la villa. Un diamante: i raggi del sole facevano brillare le vetrate di luce propria. Una costruzione moderna dove poche pareti erano di supporto a grandi pannelli di vetro che ingentilivano entrambi i piani.

Santina batté le mani come una bambina felice. – Bellissima! –

Italia annuì. – Splendente come uno specchio. Forza, ragazze, andiamo a chiedere chi è la più bella del reame. –

Anche l’algida Elga e la saputa Assunta risero divertite dalla burla.

Mattia le condusse all’interno tenendo aperta la porta dell’entrata principale per lasciarle accomodare. Era contento di aver ottenuto il loro consenso: iniziavano a essergli più che simpatiche. Si augurò di raggiungere i novant’anni con identico entusiasmo.

Aveva organizzato una cena a buffet servita da quattro camerieri ingaggiati per l’occasione. Giovani universitari con i muscoli al posto giusto che guadagnavano l’affitto di casa servendo drink alle feste di addio al nubilato o in club privati frequentati da una clientela largamente femminile.

Ragazzi rispettosi e rispettabili, seri: a loro modo, dei professionisti. Era certo che non avrebbero alzato un sopracciglio nell’incontrare le gentili Signorine cui dovevano attendere.

La temperatura nel salone centrale era confortevole al punto da non creare disagio nel muoversi a dorso nudo: aveva chiesto loro di indossare jeans neri e di mettere al collo un papillon dello stesso colore.

Seguendo le indicazioni di Giordano, aveva ordinato allo chef di preparare antipati e leccornie da servire in piccoli assaggi. Il personale di servizio aveva apparecchiato il tavolo del salone principale con una tovaglia impreziosita da merletto a tombolo, pregiate porcellane e cristalli fini. Il tavolo del buffet era poco lontano e le ospiti potevano scegliere con comodo come comporre i loro piatti di portata: intendeva occuparsi personalmente di quel compito. I camerieri avrebbero pensato al resto.

Il dj aveva montato in fretta la sua attrezzatura, provando la qualità del suono fino a quando non aveva ottenuto l’effetto desiderato: morbido, delicato. Un sottofondo adatto a non rubare la scena alle chiacchiere delle commensali.

Sì, tutto era perfetto. Mattia si concesse un nuovo sguardo al buffet alla ricerca di imperfezioni apparentemente invisibili: aveva fatto un buon lavoro. Giordano gli aveva fatto intendere che l’esito di quella serata gli stava particolarmente a cuore.

– Danke. Niente pesce crudo. –

Mattia aveva tolto il sushi dal menù non appena fatto ritorno alle cucine: non aveva sentito ragioni alle proteste dello chef giapponese.

Sentì una mano forte posarsi sulla sua spalla e fu avvolto da una nuvola di profumo dagli accenti ambrati del tutto inadeguato a una signora tanto matura. Per quanto Elga si fosse rivelata sorprendentemente atletica, nemmeno quella stretta si adeguava alla sua età.

Volse il capo in direzione della donna trattenendo a stento lo stupore. No… quella “o” che aveva trattenuto nell’ufficio del direttore riuscì a sfuggire al suo controllo.

La valchiria al suo fianco non poteva avere più di trent’anni. Giunonica, altissima.

Riuscì a comprendere la ragione del soprannome utilizzato dalle amiche. Honig: miele, dalla testa ai piedi. Capelli biondo oro folti, occhi color ambra. Vestiva un abito aderente di seta color champagne che non lasciava nulla all’immaginazione.

– La solita esibizionista. – la pantera che la raggiunse la superava in statura grazie ai tacchi vertiginosi: almeno dodici centimetri. Suta era inguainata in un abito nero con uno spacco altrettanto vertiginoso che le lasciava le gambe scoperte. Scura di carnagione, tizzoni ardenti per occhi.

Dove diamine erano finite le calze e le scarpe ortopediche?

Mattia non sapeva su quale delle due concentrare l’attenzione. Lo distrasse una ristata simile al trillo di un uccellino: sicuramente Ana, la vezzosa.

– Non vi smentite in ogni occasione: sempre pronte a graffiarvi per ottenere il ruolo di primadonna. – li raggiunse al buffet, squadrando le pietanze con occhio critico. Le labbra dipinte di rosso scarlatto, tutt’altro che raggrinzite, si piegarono in una smorfietta. – Bene, Caro, vedo che hai fatto lezione dei gusti della nostra Honig. So bene che è la tua preferita. –

I capelli radi, grigi, avevano lasciato posto a una cascata di riccioli castani. Corti alle spalle le regalavano un aspetto sbarazzino.

Ana aveva scelto di indossare un abito di foggia classica. Un tubino nero arricchito da un filo di perle al collo. Il giudizio di Mattia mutò non appena la donna si allontanò per raggiungere il tavolo. Il taglio del vestito lasciava la schiena completamente scoperta fino alle reni. Dovette ammettere che le natiche erano il suo punto di forza.

– Su, su, ragazze! – Talia apparve richiamando le amiche. – La cena è pronta, lasciate in pace il povero Mattia. –

La Signoria Italia, Talia, apparve sulla scalinata scendendo con calma, poggiando la mano sulla balaustra. Un vezzo che la fece assomigliare a una diva di altri tempi: Mattia era sicuro che i reumatismi non avessero alcun ruolo nella decisione di sostenersi al corrimano.

I capelli turchini si erano fatti ramati e l’abito di lamé rosso vermiglio la faceva somigliare a Jessica Rabbit. Non era voluttuosa quanto Honig, ma le sue curve non passavano inosservate.

Suta e Honig raggiunsero le altre al tavolo, lasciando che i camerieri scostassero la sedia con galanteria per farle accomodare. Nonostante il volto dei ragazzi avesse mantenuto l’imperturbabilità richiesta apparivano a loro agio: non erano dispiaciuti della piega presa dalla serata.

Le commensali concentrarono la loro attenzione sulle pietanze e sull’ottimo champagne francese, lasciando Mattia libero di ricomporsi. Poco alla volta il suo disagio venne meno. Fu felice di rivestire nuovamente il ruolo di maggiordomo.

Compose i piatti secondo il gusto di ognuna, anticipandone alcuni, indicando ai camerieri quale delle donne doveva essere attesa personalmente. Aveva deciso fin dall’inizio che ognuno di loro si sarebbe occupato di una sola Signorina. Scoprì di aver indovinato anche quello: i ragazzi ben si accordavano alle loro dame. Aveva scelto i più alti per servire Suta e Honig. Il più paziente per Ana e il più timido per Talia.

Si chiese per la prima volta se era un caso. La battuta di Ana continuava a risuonargli nella mente: Honig, era davvero la sua preferita? Ecco, simili voli pindarici non gli erano di nessun aiuto: doveva liberare la mente e mantenersi professionale.

La cena proseguì come aveva immaginato più volte, quasi, scandita dalle chiacchiere delle donne che levavano le loro voci allegre ad accarezzare l’atmosfera soft creata dalla musica.

Oramai ai dolci, anche questi serviti in micro porzioni che lasciavano spazio a più assaggi, il suo cercapersone lo avvisò dell’arrivo dei gentiluomini che avrebbero accompagnato le ospiti al Casinò.

Li fece accomodare dopo aver ricevuto il consenso di Talia. Le amiche lasciarono la tavolata senza dispiacere, pronte a gettarsi nella vita notturna della città lagunare. Sembrarono gradire il compagno che si avvicinò loro con naturalezza.

Mattia le aiutò a indossare un ricco mantello di velluto nero con cappuccio, un capo caldo che le avrebbe protette dal freddo della notte. Demodé, non era carnevale, ma incredibilmente adatto all’occasione.

Prima di lasciare Villa Seta Talia gli si accostò, carezzandogli la guancia con tenerezza. – Grazie Mattia: tutto perfetto, non ci saremo attese di meno da te.

Puoi ritirarti assieme agli altri, non avremo più bisogno del tuo aiuto. – i suoi occhi ebbero un lampo malizioso – Conosciamo la strada di casa: non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti.

Ah…- il suo sguardo mutò in un’espressione divertita. Le fossette sulle guance apparvero d’improvviso. – Lascia pure le scope nel salone, le recupereremo con calma domani mattina. –

– Lieto di aver soddisfatto le vostre esigenze, Signorina Talia. – Mattia la lasciò andare con un ultimo inchino.

– Credo di doverti delle spiegazioni. –

Mattia si era seduto di fronte alla scrivania di Giordano intenzionato a conoscere la verità: qualcuno gli aveva versato della droga nel caffè che aveva preso prima di recarsi a Villa Seta?

– La Signorina Italia ha lasciato una mancia ben meritata, riuscirai a pagarci la crociera che vuoi fare con Nicoletta per il vostro trentesimo anniversario. Sapevo che avresti fatto un buon lavoro. –

– Era tutto…vero? – Le sue sopracciglia si alzarono in una piega sgomenta. – Le Signorine… –

Giordano sorrise divertito. – Oh, non ti preoccupare. Fra qualche ora non ricorderai nulla. Sei qui da quando ha aperto l’Lkr: cinque anni, giusto? –

Mattia annuì, muto.

– Beh…è da cinque anni che organizzi alla perfezione il “party” delle nostre affascinanti ospiti. –

Quindi, Honig era davvero la sua preferita? Ci pensò. Sì.

– Io, ancora non capisco. –

Il direttore scoppiò a ridere. – Suvvia, Mattia, non ci arrivi? Streghe, bambini felici, scope.

Sono le Befane. –

La Befana vien di notte

con le scarpe tutte rotte

con la scopa di saggina

viva viva la nonnina”

 

Recensione dello staff

Ancora una volta, l’autrice dimostra le buonissime capacità espositive che la contraddistinguono. Il suo stile è caratterizzato da un giusto bilanciamento che verte su una narrazione fluida ma al contempo affatto elementare: il lessico è variegato e a tratti aulico; tuttavia, questo non stanca il lettore, anzi: sono proprio questi vocaboli ben scelti e vari che riescono a dar luce alle descrizioni, tanto da accompagnare per mano all’interno delle vicende. Benché sia ovviamente un racconto breve, non manca di sfaccettature apprezzabili: i personaggi fanno bene il loro dovere, tanto da permetterci anche di apprezzarli nelle loro peculiarità (la signorina Italia, per esempio, è fantastica!). Il tema delle festività è stato ampiamente soddisfatto e, benché fosse stato semplice immaginare come si sarebbe poi conclusa la storia, dobbiamo ammettere che la trama non ha perso quel sapore frizzantino che ci è stato propinato sin dalle prime righe. Concludiamo esprimendo la nostra gratitudine per la partecipazione, scusandoci per il ritardo e facendo i nostri più sentiti complimenti a questa scrittrice che, come sempre, è un piacere leggere!

 

Lo Staff

Una risposta a “Il club delle befane: recensione racconto”

  1. Sono felice di “sentire” nuovamente la vostra voce. Mi sono affezionata al sito, sono una vostra grande (e grossa) fan. Naturalmente, ringrazio per la fantastica recensione: sono felice di aver fatto nascere un sorriso. E’ quello che mi propongo.

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